Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 27
2 - 2022 mese di Dicembre
IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
DISPERSIONE SCOLASTICA E DISAGIO PSICHICO NELLE SCUOLE ARABO ISRAELIANE
di Francesco Paolo Colucci, Mahmud Said

Riassunto

Vengono discussi i problemi relativi al disagio psichico evidenziati da una ricerca azione volta a ridurre la dispersione scolastica nelle scuole arabo israeliane. Oltre alle questioni specifiche relative alle diagnosi di LD e di ADHD, si pongono problemi più generali relativi al disagio psichico degli adolescenti nella situazione conflittuale e contraddittoria che caratterizza lo Stato di Israele.

Abstract

The problems related to the psychological distress highlighted by an action research aimed at reducing school dropout in Israeli Arab schools are discussed. In addition to the specific issues relating to the diagnosis of LD and ADHD, there are more general problems relating to the psychological distress of adolescents in the controversial and contradictory situation that characterizes the State of Israel.

 

1) Introduzione

Le osservazioni empiriche sul disagio psichico qui discusse rinviano a una ricerca azione, finalizzata a ridurre la dispersione e il disagio scolastico, condotta nelle scuole arabo israeliane di Iksal e Kana in Galilea a partire dal 2009 (con le ultime rilevazioni effettuate nel 2019) su richiesta degli psicologi dei Centri di psicologia scolastica di queste due cittadine, che avevano partecipato a un corso di formazione sui gruppi di lavoro [1].

Un ulteriore obiettivo della ricerca, necessario per il raggiungimento dell’obiettivo principale, tendeva a cambiare l’attività degli psicologi scolastici prevalentemente diagnostica, con alcune esperienze di terapie brevi di tipo cognitivo comportamentale, oltre che burocratica e routinaria. Infatti, nel corso della ricerca azione si è cercato di orientare l’attività degli psicologi scolastici verso interventi più propriamente psicosociali, volti a migliorare il “clima” delle scuole, i rapporti tra insegnati, genitori, allievi; costituendo dei gruppi di lavoro con il personale scolastico e con i genitori, tra gli altri con le “madri attive” che hanno partecipato ad alcune specifiche attività.

Questa ricerca azione ha assunto come paradigma, adattandolo al particolare contesto in cui si è svolta, il modello originario della ricerca azione di Lewin (Lewin,1943; 1944; 1946; 1947); caratterizzato dall’approccio interdisciplinare e più in particolare dalla interazione tra psicologia sociale e psicologia clinica. Interazione che nello svolgersi di questa ricerca si è realizzata in primo luogo nella metodologia con la conduzione di interviste o colloqui semi direttivi individuali e di gruppo condotti da e con tutti coloro che hanno partecipato alla ricerca; colloqui che hanno riguardato il personale scolastico intervistato dagli psicologi scolastici, le autorità locali, i testimoni privilegiati intervistati dal coordinatore della ricerca. Il materiale discorsivo così rilevato è stato analizzato con metodologie qualitative basate sulla analisi di contenuto (Ghiglione e Blanchet, 1991) e sull’utilizzo di software come T - LAB (Lancia, 2004). 


2. Problemi relativi al disagio psichico emergenti dalla ricerca 

La dispersione scolastica e il disagio psichico sono in un rapporto bidirezionale in quanto la prima può essere causata da difficoltà di apprendimento, di adattamento o da altri disturbi e nello stesso tempo può causare disadattamento e devianza. Nel contesto qui considerato come ha osservato il sindaco di Iksal intervistato nel 2019: “La dispersione scolastica resta la causa principale di devianza giovanile che, per gli episodi di violenza che causa, è diventata un fenomeno sempre più grave”. Come osserva il direttore del Centro di Psicologia Scolastica di Iksal, e come hanno confermato le poche interviste che siamo riusciti a condurre con chi ha abbandonato definitivamente la scuola, i ragazzi possono scegliere di abbandonare in quanto si sentono dei “falliti” non riuscendo a soddisfare le aspettative di insegnati e genitori, attratti da lavori precari e dalla strada dove si sentono almeno momentaneamente degli “eroi”. Alcune ragazze hanno abbandonato la scuola spinte a farlo dal fratello o dal padre che vedono nella scuola e nel suo ambiente un pericolo [2].

In Israele questi problemi assumono una particolare gravità. Il disagio psichico che si manifesta nelle scuole arabo israeliane, come più in genere nella popolazione araba, può essere capito nel contesto della situazione conflittuale, continua con i suoi periodi di latenza, che caratterizza questo Paese dalla sua nascita nel 1948. Questo provoca una violenza diffusa che si manifesta anche, se non soprattutto, tra i giovani e quindi nelle scuole dove, come hanno osservato gli insegnanti, “già a partire dalle medie si formano delle vere e proprie gang”. In questo contesto, ad avviso degli psicologi scolastici, “il bullismo, se così si può definire, è un fenomeno che si disperde e diffonde nella violenza generalizzata”. Si pone quindi nelle scuole il problema di contenere l’aggressività e di intervenire sui traumi che provoca. Gli psicologi adottano delle forme di ludoterapia nelle scuole elementari; con i più grandi affrontano il problema della aggressività e degli episodi di violenza in gruppi di discussione. Ma, ad avviso degli stessi psicologi, gli Interventi non possono essere solo terapeutici; dovrebbero essere in primo luogo preventivi, volti a migliorare “ il clima scolastico”, intervenendo sull’ambiente fisico delle scuole poco accogliente; e soprattutto sulle relazioni tra alunni e insegnanti spesso inesistenti se non ostili, descritte come frustranti nelle interviste; dichiara una counselor: “Devo fare finta di essere scema, entro [in classe] e molti continuano [a farsi i fatti loro] come niente fosse”. 

La dispersione e in genere il disagio scolastico dipendono anche dalle relazioni difficili tra scuola e famiglia, tra insegnanti e genitori. Come hanno osservato alcuni insegnanti e, con particolare chiarezza, la coordinatrice dei centri di psicologia scolastica arabo israeliani della Galilea, se le scuole possono essere almeno parzialmente influenzate dalla cultura occidentale dello Stato di Israele, le famiglie sono maggiormente legate alla religione e alla cultura tradizionale. Relazioni difficili aggravate dalla alleanza dei genitori con i figli che individua negli insegnanti “il comune nemico”; un fenomeno diffuso anche in Italia che nelle scuole arabo israeliane assume particolare drammaticità con gli insegnanti che, soprattutto se donne e nelle scuole superiori, sono sovente vittime di aggressioni.

Consegue da questa situazione una condizione generale di anomia. Secondo un direttore scolastico, che esprime un sentimento condiviso, genitori e alunni “non sanno cosa hanno di diritto e cosa di dovere, cosa è permesso e cosa è vietato”. Uno stato di incertezza che si riflette anche nel comportamento degli insegnanti: “alcuni ammettono in classe alunni con comportamenti a rischio, altri li mettono fuori; alcuni si dedicano solo agli studenti con rendimento almeno medio, trascurando gli altri”.

Anomia che coinvolge in primo luogo i giovani arabo israeliani che, a partire dalla prima adolescenza, si trovano al centro di un conflitto tra culture diverse: sono attratti dalle nuove tecnologie informatiche o telematiche che padroneggiano al contrario di molti insegnanti e della maggioranza dei genitori, che spesso hanno un atteggiamento negativo verso i new media ritenendoli strumento di una cultura altra e nemica. Questo aggrava le difficoltà di comunicazione tra gli adulti e i giovani: “la generazione muta” come alcuni testimoni privilegiati li hanno definiti nelle interviste. I giovani sembrano quindi aspirare all’assimilazione alla società israeliana “moderna e occidentale”. Nello stesso tempo gli stessi giovani, anche scolarizzati, sono protagonisti di atti di ribellione spesso violenta, individuali e di gruppo, contro lo Stato israeliano. Ribellione che può essere una reazione al fallimento dei tentativi di assimilazione, ovvero di mobilità sociale individuale (Tajfel, 1970; Tajfel et al. 1971); oltre che un tentativo di affermare la propria identità generazionale in opposizione alla “generazione sconfitta dei padri” (Veronese, Castiglioni and Said, 2011).

In questa situazione sono emersi come rilevanti, sin dalla fase di pianificazione della ricerca e poi nelle interviste con gli insegnanti, i problemi specifici delle diagnosi di learning disabilities (LD) e di disturbi dell’attenzione e iper motilità (ADHD).

Le diagnosi di LD, che possono essere rilasciate dagli psicologi scolastici dopo un primo screening affidato ai counselors, frequentemente sono richieste dagli insegnanti, come alcuni degli insegnanti intervistati osservano, “per liberarsi da un problema”, “dalla fatica di insegnare ad alunni con particolari difficoltà”, in definitiva per “deresponsabilizzarsi”.

Si riscontra una richiesta di diagnosi di LD anche da parte dei genitori interessati a ottenere supporti e aiuti didattici e anche nel loro caso per “deresponsabilizzarsi”.

Ad avviso della coordinatrice dei centri di psicologia scolastica arabo israeliani della Galilea, del direttore del Centro di Psicologia Scolastica di Iksal e anche di alcuni direttori scolastici e degli stessi insegnanti, nelle scuole arabo israeliane si pone un problema, oltre e più che di L.D., di “teaching disabilities”, per la bassa motivazione e lo scarso livello di preparazione di molti insegnanti. Vi sono, ad esempio, “insegnanti di arabo che non padroneggiano l’arabo”, “insegnanti che non sanno scrivere”. Si aggiunga, come è stato osservato, che Israele “non favorisce” la conoscenza dell’arabo, “come facevano i francesi in Siria”. Politica “coloniale” spiegata dal fatto che la lingua è la base della cultura e dell’identità nazionale.

Inoltre, come osservano alcuni testimoni privilegiati, la L.D., o quella che viene segnalata e diagnosticata come L.D., può dipendere dal fatto che viene insegnata “una cultura esterna ed estranea”, dal momento che i programmi sono “imposti dal Ministero dell’Istruzione del Governo israeliano, ovvero ebraico”.

Il problema delle diagnosi di ADHD è maggiormente rilevante per le situazioni di disagio psichico che segnala e per le conseguenze che tali diagnosi possono avere.

Le richieste di diagnosi di ADHD sono particolarmente frequenti ed è forte la pressione per ottenerle da parte degli insegnanti e dei genitori; solo una minoranza di genitori si oppone a tali diagnosi (come a quelle di LD) temendo lo stigma sociale e l’emarginazione.Alcuni giovani riconoscono di “avere un problema” mentre altri pensano che tutto dipenda dagli insegnanti e dai genitori che “non sanno come trattarli”. Tra gli insegnanti alcuni, in genere una minoranza, sono contrari alla somministrazione di farmaci mentre altri adottano un tono canzonatorio con gli studenti che li assumono: “ciao caro, oggi l’hai presa la pillola?”

Gli psicologi scolastici, dopo alcuni colloqui con il soggetto segnalato dagli insegnanti, se lo ritengono necessario lo indirizzano al servizio psichiatrico territoriale. Secondo quanto affermato concordemente dagli psicologi scolastici, anche se il protocollo richiede più visite, molto spesso le diagnosi di ADHD vengono “rilasciate solo dopo una sola visita con conseguente prescrizione e somministrazione di Ritalin”. Gli effetti tranquillizzanti del farmaco agiscono come una sorta di rinforzo: “ [i genitori e gli insegnanti] vedono che con il Ritalin migliora, è più tranquillo, da meno fastidio e questo porta a ulteriori richieste di Ritalin, confermandoli nell’idea che la diagnosi [di ADHD] era utile se non necessaria e convincendo quelli che avevano qualche perplessità”. Uno dei pochi psichiatri che siamo riusciti a intervistare afferma di prescrivere il Ritalin “con un dosaggio efficace per 7-8 ore così che il soggetto possa star bene sia a scuola che a casa”.

Gli psicologi scolastici – con maggiore consapevolezza e modalità più sistematiche in seguito alla ricerca azione condotta – cercano di filtrare e contenere le richieste di diagnosi di ADHD [3], spiegando a insegnanti e genitori che le cause di una irrequietezza che sembra eccessiva possono essere ambientali; come le case sopra affollate, allo stesso modo delle aule, la mancanza nelle scuole, e fuori dalle scuole, di strutture e spazi per l’attività sportiva o semplicemente per il gioco, per correre nei momenti di intervallo; fanno anche presente che negli ultimi anni si è diffuso, a partire dai preadolescenti, l’uso incontrollato di bevande energetiche ed eccitanti. Contenimento delle diagnosi, in particolare di ADHD, difficile, in quanto i genitori, a partire dalle madri “stressate e isteriche”, si rivolgono privatamente a psichiatri “generalmente propensi a emettere facili diagnosi di ADHD”.

Tuttavia, gli psicologi nel corso della ricerca azione, riflettendo sulle loro pratiche e discutendo tra loro, sono diventati sempre più critici e consapevoli dei rischi delle diagnosi di LD e ADHD; a partire da un processo di stigmatizzazione che può portare all’emarginazione e all’abbandono scolastico.

Come è stato osservato in una discussione con gli psicologi scolastici sul problema dello stigma: “una volta si diceva di un bambino «è un asino», ora invece si dice «è affetto da LD»; suona più di élite, ma è una etichetta persistente. Un asino può cambiare ed evolversi, chi ha avuto una diagnosi di LD a scuola avrà di difficoltà a essere ammesso all’Università. Anche Einstein avrebbe avuto una diagnosi di LD”.

Gli psicologi inoltre osservano che gli insegnanti invece di ricevere una formazione psicosociale che “forse sarebbe più utile”, a partire dalle maestre d’asilo seguono corsi sui disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione, sulle dislessie,”così quando tornano in classe vedono dislessici ovunque”.

Più in genere “si parla molto in giro di iper motilità, di disturbi dell’attenzione, di Ritalin e questo spiega la richiesta insistente di diagnosi di ADHD”. I corsi di formazione rivolti a medici di base e psicologi sui disturbi dell’attenzione concorrono all’incremento delle diagnosi. Peraltro, come è stato fatto presente, gli ispettori ministeriali se riscontrano che in una scuola la percentuale delle diagnosi è inferiore alla media nazionale cercano di indagarne i motivi ritenendo che queta anomalia possa essere dovuta a un malfunzionamento.

Secondo alcuni, in Israele, e in particolare nelle scuole arabo israeliane, sembra essere in atto una “capillare psichiatrizzazione del territorio”; con il sospetto implicito che tale psichiatrizzazione possa essere una forma di controllo esercitato dallo Stato

Un problema più grave, anche se si presenta con relativa minore frequenza, che coinvolge anche le scuole è rappresentato dalle violenze sessuali sui minori, a partire da quelli che frequentano le scuole materne.

I genitori, prevalentemente le madri, se decidono di affrontare il problema si rivolgono ai Centri di Psicologia Scolastica evitando la polizia o altre vie istituzionali.

La rilevanza del problema è dimostrata dal fatto che lo Stato di Israele finanzia diversi centri dedicati ad affrontarlo, dove operano equipe multi disciplinari e le vittime minorenni di violenza sessuale possono essere curate gratuitamente. A Nazareth opera in una moderna palazzina ben arredata il centro “al Karm” (in Arabo = vigna).

 

3. Conclusioni

Tutto questo rinvia alle contraddizioni che si evidenziano nelle scuole arabo israeliane, e che sono rappresentative delle contraddizioni complessive che caratterizzano Israele e la difficile convivenza tra ebrei e arabi. I rilevanti investimenti statali, a partire dal 1948, hanno portato a un incremento esponenziale della scolarizzazione della popolazione araba anche femminile che attualmente è alla pari, se non superiore, a quella maschile (Said et al. 2020, p. 26 ss). Il sistema scolastico anche arabo israeliano si può considerare per le sue strutture più avanzato di quello italiano; con centri di psicologia scolastica, uffici e funzionari che si occupano delle scuole in ogni municipalità e con la presenza nelle scuole di figure professionali – come counselors, educatori, insegnanti di sostegno – che affiancano gli insegnanti [4].

Se questo sviluppo della scolarizzazione, e in primo luogo di quella femminile, è un importante fattore di emancipazione della popolazione araba, permangono discriminazioni e diseguaglianze. La dispersione scolastica continua a essere più elevata nelle scuole arabo israeliane. Va considerata oltre che la “dispersione manifesta” (abbandoni scolastici) quella che nella nostra ricerca abbiamo definito “dispersione latente” – ovvero gli alunni “presenti assenti”, come li hanno definiti nelle interviste gli insegnanti – più difficile da individuare e da contrastare. Di conseguenza nelle scuole arabo israeliane i livelli di rendimento sono più bassi.

La contraddizione più rilevante riguarda la discriminazione culturale verso le scuole arabo israeliane: i programmi anche di storia e letteratura sono decisi dal Ministero e, come ha osservato la maggioranza degli insegnanti e dei direttori scolastici intervistati, danno “poco spazio” alla storia e alla letteratura araba, in genere “ignorano la cultura araba”. Gli stessi numerosi programmi di intervento per il benessere scolastico. volti a ridurre il disagio, copiosamente finanziati da fondazioni ebraiche statunitensi e dei quali beneficiano anche le scuole arabo israeliane sono basati su teorie e pratiche di concezione occidentale affatto estranee alla cultura araba. Inoltre una direttiva ministeriale vieta che nelle scuole arabo israeliane sia celebrata, o anche solo ricordata la Nakba (la Catastrofe), l’emigrazione forzata di centinaia di migliaia di palestinesi nel 1948. Una politica contraria alla integrazione tra culture diverse e favorevole alla rimozione delle cause all’origine del conflitto.

Se qui ci si riferisce alle scuole arabo israeliane, non vanno dimenticati gli ultimi degli ultimi: i beduini, anche essi formalmente cittadini arabi dello Stato di Israele, generalmente di fatto esclusi dal sistema scolastico pubblico, marginali per i servizi sociali come i centri di psicologia scolastica; forzosamente stanziali e inurbati in centri come Rahat, circa 50.000 abitanti, sorto nel Neghev settentrionale, pare il centro urbano più violento di Israele. Qui la scolarizzazione è interamente privata, affidata a un imprenditore beduino con buone entrature al Ministero; dalle numerose scuole materne in precarie condizioni igieniche, talora in prossimità di fogne a cielo aperto alla scuola superiore professionale in un edificio che ha tutte le caratteristiche di un carcere anche per gli episodi di violenza che si verificano al suo interno.

Come il sistema scolastico evidenzia, se i beduini sono semplicemente vittime di discriminazione ed emarginazione, la generalità della popolazione arabo israeliana vive una situazione contraddittoria: da una parte ha comunque beneficiato dei notevoli investimenti statali nell’istruzione, dall’altro continua a subire la discriminazione culturale che si manifesta nelle scuole emblematicamente con l’imposizione dei programmi di studio, e con la proibizione di affrontare il problema del conflitto, e della sua origine perpetuandolo e aggravandolo.

Sono facilmente prevedibili gli effetti di tutto questo sulla salute mentale, in particolare degli adolescenti, e più in generale sulle possibilità di integrazione in un sistema sociale moderno e avanzato come Israele ritiene di essere ed effettivamente è per una parte della sua popolazione.

In questo contesto, ovvero se queste sono le condizioni materiali di esistenza, le psicoterapie di qualsiasi tipo possono essere solo delle cure palliative.


Riferimenti bibliografici

-Benavot A. and Resh. N. (2003), “Educational governance, school autonomy, and curriculum implementation: A comparative study of Arab and Jewish schools in Israel”. Journal of Curriculum Studies 35 (2): 171-196.

-Colucci F.P., Said M., Dakduki J., “Una esperienza di ricerca-azione volta a ridurre la dispersione scolastica nelle scuole arabo israeliane”. Psicologia di Comunità, 1 – 2018, XIV , pp. 59- 85.

-Ghiglione R. and Blanchet A., (1991) Analyse de contenu et contenus d'analyses. Paris: Dunod.

-Lancia, F. (2004), Strumenti per l’analisi dei testi. Introduzione all’uso di T-LAB. Milano: Franco Angeli.

-Lewin, K. (1943) “Forces behind Food Habitus and Methods of Change”. Bulletin of the National Research Council 28: 35–65.

-Lewin. K. (1944) “Contructs in Psychology and Psychological Ecology”. University of Iowa Studies in ChiL.D. Welfare 20: 17-20.

-Lewin, K. (1946) “Action Research and Minority Problems”. Journal of Social Issues 2: 34–46.

-Lewin, K. (1947) “Frontiers in Group Dynamics”. Human Relations 1(1): 5–41

-Said, M., Dakduki, J., Colucci, F.P.. 2020. “An experience of action research in Arab-Israeli schools”. Community Psychology in Global Perspective 6 (2/1), 20–37.

-Shoshana, A. (2020), “I live one day at a time: Future orientation among Muslim high school dropouts in Israel”. ChiL.D.ren and Youth Services Review 119: 1-9

-Tajfel, H. (1970), “Experiments in Intergroup Discrimination”. Scientific American 223 (5):  96-102.

-Tajfel, H., C. Flament, M. Billig and R. Bundy. (1971) “Social Categorization and Intergroup Behaviour”. European Journal of Social Psychology 1 (2): 149-178.

-Veronese, G., M. Castiglioni M. and M. Said (2011), “Arabic family in transition: The case of Palestinian living in Israel”. Perspectives on immigration and terrorism, edited by G.M. Ruggiero, S. Sassaroli, Y. Latzer and S. Suchday, 74-84. Amsterdam: IOS Press.

-Yanay, G., H. Fuchs and N. Blass (2019), “Staying in school longer, dropping out less: Trends in the high school dropout phenomenon”. Policy Paper. Jerusalem: Taub Center for Social Policy Studies in Israel.

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[1] Per l’analisi di questa ricerca azione – i presupposti teorici, metodologici, lo sviluppo, i risultati – si rinvia a Colucci, Said, Dakduki 2018; Said, Dakduki, Colucci 2020.

[2] Per le problematiche relative alla dispersione scolastica nelle scuole arabo Israeliane si rinvia Benavot e Resh 2003; Shoshana, 2020; Yanay, G., H. Fuchs and N. Blass. 2019.

[3] Secondo quanto affermato in interviste individuali condotte nel 2019 su 10 richieste solo 2 o 3 portano a una diagnosi di ADHD.

[4] Il budget del ministero dell’Educazione è inferiore solo al budget del Ministero della Difesa. Gli investimenti di Israele nell’istruzione sono superiori alla media dei paesi OCSE. Nel 2015 (quattro anni dopo l’inizio della ricerca e prima delle ultime rilevazioni) la spesa pubblica per il sistema educativo in Israele era del 12,8% dell’intero bilancio statale, la media dei paesi OCSE del 11,1%; in Italia del 7,2%.

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