Le azioni contro il corpo in adolescenza

 
Annamaria PIETROCOLA, Jean Pierre VERRIER

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«Non esistono difese che non siano allo stesso tempo
un elemento prezioso per la creazione».
D. Winnicott


Questo articolo nasce dal desiderio di condividere l'esperienza clinica e la riflessione teorica a partire da un lavoro di ricerca universitaria iniziato nel gennaio 2007 con gli adolescenti nei licei e nelle scuole medie del Provveditorato di Poitiers.
La caratteristica di questo lavoro è il tentativo di fare coabitare “una duplice identità”, quella di psicologa clinica di formazione psicanalitica, interessata alla complessità del mondo interno ed all'unicità della relazione con il paziente, con quella della ricercatrice, che si avvale di una metodologia rigorosa, volta a spiegare e a creare nuovi interrogativi nell'ambito della psicologia clinica del bambino e dell'adolescente.

Nella società odierna si assiste sempre di più all'utilizzo del corpo. Le nuove tecnologie permettono di sfidare i principi di tempo, spazio e gravità. Le scoperte scientifiche fanno sì che il corpo possa essere modificato, alterato, migliorato. Si può andare verso il limite e l'estremo in molti sport sempre più alla moda.
In Francia i dati dell'INSERM (Istituto Nazionale di Salute e Ricerca Medica) attestano che negli ultimi anni c'è stato un incremento dei comportamenti di attacco al corpo. Lo dimostrano, per esempio, i tentativi di suicidio, le scarificazioni, gli incidenti a ripetizione, soprattutto nella popolazione adolescenziale. Queste azioni chiamano in causa genitori, familiari, educatori e personale medico. Nella struttura ospedaliera in cui lavoro, ritrovo molti adolescenti che presentano ecchimosi, lesioni cutanee, tricotillomanie, ma anche forme d'azioni meno gravi (acne escoriata, escoriazioni da grattamento, ecc.) che mettono al centro dell'attenzione un corpo rovinato ed imbruttito dalle lesioni.
Questa ricerca s'inscrive negli studi riguardanti l'adolescenza e le diverse modalità di esprimere la sofferenza psichica attraverso l'azione. Alla luce della teoria psicanalitica, il ricorso all'atto potrebbe nascondere un altro senso, un significato che non riesce a trovare dimora nella parola. In effetti l'adolescente, in questa fase di crescita, deve distaccarsi dai vecchi piaceri dell'infanzia e dalle figure parentali per divenire soggetto e attore della sua vita, attraverso un processo di “soggettivazione”.


Adolescenza: decostruzione dell'intersoggettività
Adolescenza deriva dal latino “adulesco” che significa crescere. La crescita rappresenta un processo e un movimento che, spinto dalla pubertà, implica una transformazione. Sul piano fisico si presenta, per esempio, con la genitalità, lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari e con un aumento della forza; sul piano psichico si manifesta con una serie d'adattamenti che l'adolescente deve compiere per inserirsi al meglio nel mondo adulto. In effetti, egli si trova a gestire l'arrivo della genitalità, quindi deve rimodellare i suoi meccanismi di difesa per fronteggiare questa nuova pulsionalità, modificare il SuperIo e l'Ideale dell'Io, ristrutturare le relazioni alle imagines parentali, ma, soprattutto, separarsi dai primi oggetti d'amore per investire nei nuovi. L'adolescente non è più un bambino e non è ancora un adulto, è un «pre-quelque un», come sosteneva Kestemberg (1999).
Freud (1905) ha messo l'accento non tanto sul processo dell'adolescenza, quanto sul concetto di pubertà. Infatti nei «Tre saggi sulla sessualità», egli sosteneva l'ipotesi che non è l'adolescente in quanto tale, ma sono le «trasformazioni della pubertà» che fondano i punti di riferimento essenziali per lo sviluppo psichico. Analizzando i suoi scritti, l'adolescenza appare come un tema spesso accennato, ma mai affrontato fino in fondo. In effetti, non sarà subito un tema differenziato all'interno della clinica come entità a sé, ma nel caso di Dora e in quello della giovane omosessuale, Freud si è occupato di adolescenti. L'adolescenza sarà definita in seguito «l'ancella della psicanalisi» da Anna Freud, la quale sottolineava le difficoltà di coniugare la tecnica e la teoria nella clinica con gli adolescenti.
Negli anni successivi, Aichorn prima ed, in seguito, Winnicott (1969) si sono interessati all'adolescenza nelle sue manifestazioni aggressive e antisociali. Winnicott in particolare, insieme agli studi in ambito etologico di Harlow ed alla teoria dell'attaccamento di Bowlby (1978), ha puntato l'attenzione a ciò che accade nella relazione madre/bambino a partire della primissima infanzia. Winnicott (1971) ha introdotto il concetto di “holding" per designare come la qualità delle cure, il modo in cui la madre « abbastanza buona » tiene l suo bambino, lo porta e gli parla, permette al piccolo di appropriarsi progressivamente di un Io e in seguito di separarsene.
Le teorie attuali sull'adolescenza riprendono la teoria winnicottiana e l'analisi delle relazioni createsi durante i primi anni di vita . Il concetto “d'intersoggetività” a cui voglio riferirmi in questo studio si rifà alla riflessione teorica della scuola francese.
Riprendendo Roussillon (2004) si definisce intersoggettivo “l'incontro di un soggetto, abitato da pulsioni e da una vita psichica inconsciente, con un oggetto, che è anche un altro-soggetto e che a sua volta è animato da una vita pulsionale nel quale una parte è inconscia”. In un tale contesto teorico si ritrova un tentativo d'integrare la dimensione inconscia dell'oggetto, la sua risposta ai movimenti pulsionali del soggetto e come questa possa influenzare il divenire psichico del soggetto.
Durante l'adolescenza l'intersoggettività dei primi anni di vita ha bisogno di essere “riletta” per permettere all'adolescente di fondarsi come soggetto. Infatti l'adolescente arriva con degli strati di storia, e di scene formatesi nelle fasi precedenti di sviluppo, relazione con gli oggetti primari che hanno lasciato delle traccie.
Laplanche (1987), a questo proposito, introduce il concetto di «signifiants énigmatiques» che in questa fase di vita, con la riattivazione del Complesso di Edipo, ritrovano una nuova potenzialità. L'adolescenza, in un tale contesto teorico, vuole essere un periodo in cui si può trovare un senso a ciò che è rimasto sospeso negli stadi di sviluppo precedenti. Ci si ritrova allora nel cuore di un'intersoggettività che chiede di essere “decostruita”, ma come separarsi senza frammentarsi?
La relazione con il terapeuta può permettere all'adolescente di rivisitare il suo passato, al fine di costituirsi come soggetto separato dalla diade infantile.

AlI'infermeria
La clinica degli adolescenti richiede degli adattamenti nella tecnica. In effetti a volte spinge il terapeuta a lasciare il suo divano, e la sua neutralità per incontrare il soggetto sofferente in altri modi.
La ricerca nasce e si svolge nei licei e nelle scuole medie del Provveditorato di Poitiers. Questi istituti prevedono al loro interno un luogo di cura: l'infermeria. Di solito gli adolescenti vi ricorrono in caso di malessere fisico, per ottenere dei farmaci ed, eventualmente, un certo benessere. Nel corso degli ultimi anni si è notato che essi ritornano all'infermeria regolarmente anche se non hanno più bisogno di cure mediche e sono in buona salute fisica. Probablimente gli adolescenti che si feriscono cercano qualcosa che va al di là delle cure mediche e per il momento vengono a cercarla all'infermeria. Perché proprio l'infermeria?
L'adolescenza è “una storia di spazio”, diceva Jeammet (1997), l'adolescente ha bisogno di prendere le distanze, di allontanarsi dai primi oggetti d'amore per differenziarsi. Non si confida più con i suoi genitori e a volte i genitori stessi si trovano in “una fase di mezz'età” che porta con sé delle angosce. A volte non riescono ad accorgersi della sofferenza dei propri figli o a restare integri, “sopravvivere” come direbbe Winnicott, di fronte alla provocazione e all'aggressività che gli adolescenti manifestano in questo periodo nei loro confronti. I professori non ritengono sempre che occuparsi della personalità degli allievi faccia parte dei compiti loro assegnati ed infine il gruppo dei pari luogo di sostegno, di appoggio, d'identificazione non riesce a contenere le angosce di questi adolescenti. In questo contesto, l'infermeria può divenire un luogo dove rifugiarsi, proteggersi e probabilmente ritrovare “un contenimento materno”.
Ho incontrato 70 ragazzi dai 13 ai 19 anni, ma solo 15 tra questi (8 ragazzi e 7 ragazze) hanno ritenuto un'attenzione particolare divenendo oggetto di questo studio. In seguito ai colloqui clinici di ricerca, cinque adolescenti hanno chiesto di continuare ad incontrami regolarmente durante l'anno scolastico. Tre hanno iniziato una psicoterapia ad ispirazione psicanalitica e sette hanno deciso di sospendere i colloqui per il momento.
Gli adolescenti sui quali si fondano le seguenti riflessioni cliniche mi sono in parte inviati su consiglio dell'infermiera, che ha già avuto occasione d'incontrarli per cure mediche, mentre in parte hanno deciso volontariamente di partecipare alla ricerca, in seguito ad un'attività d'atelier “Quand je serai grand” organizzata da me nelle classi.
Probabilmente questi giovani presentano un denominatore comune nella modalità di vivere il proprio corpo, anche se sul piano diagnostico emerge una certa eterogeneità. In questo contesto di ricerca non voglio interessarmi ad una lettura psicopatologica del sintomo, ma preferisco porre l'attenzione sugli attacchi al corpo come mezzo d'espressione e d'iscrizione di una sofferenza psichica.
Il dispositivo di ricerca si fonda sulla metapsicologia freudiana, sull'associatività del discorso e sull'ascolto dell'inconscio, anche se il mio obiettivo, a differenza di una psicoterapia classica, non è obbligatoriamente quello di aiutare l'adolescente a prendere coscienza di quelle parti di sé che sono inconsce. In realtà questi adolescenti non sono sempre spinti da un desiderio di cambiamento, ma portano con sè un dolore fisico e una sofferenza psichica. Ascoltandoli, si scopre che la maggior parte di loro non è abituata a parlare di sé e della propria vita. Cosi, raccontano in modo fattuale la loro quotidianità, restano centrati su un immediato presente ed hanno delle difficoltà ad avere accesso ai ricordi, mescolando rappresentazioni ed affetti. Ferro (1997), al proposito sostiene che “un discorso a volte banale contiene tutto quello che l'adolescente vuole e può dirci”.
In questo contesto clinico, il primo obiettivo è cercare di creare un canale di comunicazione con l'adolescente, dando vita progressivamente ad una relazione, ad «un transfert di base» che permetta un primo terreno d'iscrizione dei movimenti transferali e controtransferali. Grazie alla relazione clinica, l'adolescente può investire o reinvestire l'attività di pensiero, in modo che il preconscio e l'attività associativa possano essere cosi rianimati.
La fragilità narcisistica di questi giovani non facilita le interpretazioni. Di solito le evito e mi propongo come Io-ausiliare capace, in alcuni momenti, di creare dei legami tra i diversi elementi del discorso e di mettere in realazione pensieri e affetti, tra passato, presente e futuro. Questo intervento diviene « propedeutico » per un percorso psicoterapeutico successivo.
Nel lavoro di ricerca, accanto ai colloqui clinici , utilizzo il disegno come mezzo per mobilitare la parola. Chiedo cioè agli adolescenti di disegnare su un foglio cio' che fanno con il loro corpo. Il grafismo diviene un mediatore , che permette al conflitto psichico inconscio d'esprimersi. Quello che conta non è la riproduzione fedele della realtà esterna, ma la riflessione che farà l'adolescente ricevuta da me durante il colloquio.

Charles
Charles ha 19 anni, è un ragazzo alto e robusto, che frequenta il quarto anno di un instituto professionale. Viene all'infermeria da due mesi, in seguito alla frattura della mano destra. Ha creato una buona relazione con l'infermiera fino al giorno in cui, innervosito, ha picchiato i pugni contro la scrivania.
Lo incontro qualche giorno dopo quest'avvenimento, ha l'aria addormentata. Durante i colloqui racconta il suo percorso: un iter scolastico che lascia a desiderare, delle bocciature a ripetizione, una formazione che si è rivelata non essere quella che sognava, fa molta fatica a dormire, non riesce a seguire i corsi, gli altri lo allontanano e il suo tessuto relazionale inizia ad impoverirsi.
Si innervosisce molto spesso con gli altri e si fa male e/o si ferisce regolarmente in seguito a risse o incidenti. Recentemente una macchina gli è passata su un piede, si è fatto delle bruciature su una mano e poi se l'è fratturata. «La violenza non è una soluzione, ma un'opzione, a volte le parole non funzionano», dice.
Aggiunge, a proposito del suo dito rotto: «Mi fa ridere di essermi rotto un dito dando un pugno contro una porta blindata, mi fa troppo ridere, non era la prima volta. Porte, muri, porte d'armadi in generale non si rompono, e le porte blindate, beh, queste sì, si rompono. Io le ho provate le porte blindate e sono molto forti, eh!».
Charles guarda il suo dito rotto e dice con un'aria molto fiera: «E' bello, eh!».
Gli avvenimenti che spingono Charles a farsi male sembrano essere legati a provocazioni o ad espressioni volgari dei coetanei oppure a delusioni.
Alla fine del primo colloquio Charles mi dice: «Non so se posso fidarmi, non so se riverrò ritornerò... ». Tuttavia Charles si presenta al secondo colloquio e progressivamente riesce a raccontare qualcosa di sé :
«I miei genitori mi stanno troppo addosso, non ne posso più, mi impediscono d'esistere».
« …Con i miei genitori ho sempre avuto un rapporto conflittuale, non so perché, non me lo sono mai chiesto. Mi hanno sempre rotto le scatole. Appena cercavo di fare qualcosa, non andava mai bene, come volevano».
Il padre di Charles ha 58 anni ed è ingegnere, la madre ha 56 anni ed è una segretaria comunale. Hanno un altro figlio di 24 anni. Charles racconta: «Mio fratello è un orso, uno che parla poco. E' riuscito a realizzarsi nel lavoro, è un informatico ed ha una compagna. Ho l'impressione di non esistere ai suoi occhi».
Da qualche mese Charles è andato a vivere da solo in un appartamento a qualche Km da casa. Nonostante cerchi in tutti i modi di badare a se stesso, sua madre visita spesso l'appartamento in seguito alle risse e alle fratture.
Con il tempo si sente coinvolto nei colloqui e racconta.
«....La mia vita è piena di delusioni, non ne posso più, ogni volta che do' fiducia a qualcuno mi sento tradito ».
«Quando qualcuno mi tradisce è qualcosa che sento molto forte…come un coltello in pieno cuore. Ho sempre avuto delle difficoltà a gestire i miei sentimenti, a temperarli. Non importa quale sentimento: amore, odio, dolore o amicizia, io preferisco rompere, allora non sento più niente, dimentico tutto, non penso più a niente…. ».
Aggiunge: «Mi piace molto il film d'animazione Konfu-Panda, perché è troppo forte. Un grosso Panda, nessuno lo vuole, non è cattivo, ma un po' perduto e maldestro, come me in questo momento». La violenza di Charles e il carattere impacciato del Panda possono coabitare nello “spazio di pensiero” con il terapeuta.
Qualche mese dopo il nostro ultimo colloquio, Charles intraprenderà una psicoterapia psicanalitica ad una seduta settimanale.

Per rappresentare le sue ferite, Charles disegna un pugno e commenta cosi: «Questo sono io...quando divento nervoso. Gli altri mi deludono continuamente. Avevo una ragazza da due mesi. Le ho dato fiducia e mi ha tradito. E' andata con un altro. Se la incrocio.......... »
Sul piano grafico, il disegno di Charles mostra una mano in cui non è possibile vedere delle dita, come una “castrazione”. Senza dita non si può accarezzare. Sul piano transferale, Charles ha bisogno di posizionarsi come un uomo forte, aggressivo che fa paura ad una donna, la psicologa, che potrebbe “tradirlo”. Un conflitto esteriore, nella forma di un affronto, può permettergli di tenersi a distanza e allo stesso tempo gli rende sopportabile il rischio di un avvicinamento all'oggetto nel suo mondo interno.

Céline
Céline è un'adolescente di 14 anni di bell'aspetto. La vedo per la prima volta in un'attività di gruppo nella sua scuola media. Non partecipa molto, sembra essere altrove, ma alla fine del gruppo mi chiede un colloquio dicendomi: «Ho bisogno di parlare».
La incontro qualche settimana dopo, parla poco e piange molto. Ripete più volte in lacrime «Non voglio essere rinchiusa!». Céline da qualche mese vive nel pensionato della scuola media dal lunedi al venerdi. E' stata bocciata l'anno precedente e ripete la terza media. Ha delle difficoltà a concentrarsi e a dormire, trascorre la maggior parte del suo tempo a disegnare. Non le piace la scuola, ha pochi amici, le relazioni con gli insegnanti e con il personale educativo sono molto conflittuali. La sua più grande passione sono i cavalli, a proposito dei quali dice: «Mi sento meglio con gli animali che con gli umani».
La sua famiglia vive in campagna. Il padre è chirurgo, che per motivi di lavoro viaggia molto, mentre la madre fa l'accompagnatrice turistica equestre. Céline è la più giovane di tre sorelle, tutte nate da una precedente unione della madre. Le relazioni tra i genitori sono molto conflittuali, anzi i genitori sono separati di fatto, in seguito alla morte della nonna materna. Céline tra una lacrima e un sorriso mi racconta molto di sé e della sua famiglia. «Siamo una famiglia strana, le mie sorelle non vivono più con noi. A casa ci sono io, i miei cavalli e Stef, la mia migliore amica».
Nei discorsi di Céline mi sembra di ritrovare un tema frequente: sua madre. « …È sempre altrove, dimentica molte cose... ».
« …mia madre non si sa da dove parte o da dove viene. All'inizio la vedevo piangere, ora non più molto.. .prende dei farmaci per dormire. A volte non sta veramente bene. A volte penso che se il suo compagno non fosse là…sta sempre peggio, si chiude su se stessa». « …io sono molto vicina a mia madre, perciò quando so che è distante e che non sta bene, io non riesco a stare bene, sono nervosa».
«Sto sempre a pensare a quello che può fare e questo m'innervosisce ancora di più».
Qualcosa di strano accade da qualche mese da quando Céline è al pensionato: «Me ne accorgo quando mi sveglio. Non so quando appare, forse la notte, ma è strano. Sono delle macchie rosse con dei foruncoli sul mio braccio destro. E' strano! Non so veramente cos'è.». Aggiunge « la mattina mi gratto, mi guardo e mi gratto ancora più forte, io guardo, io gratto, è tutto rosso e io gratto ancora. Cerco di fermarmi, ma è irresistibile, bisogna che gratti!».
Parlando del bisogno di grattare e del suo “nervosismo”, precisa: «Mi gratto quando sono nervosa, mi innervosisco e non so neppure la ragione, è strano ! ».
Céline, che disegna sempre durante le lezioni, rifiuta però di fare un disegno durante il colloquio e ne porta poi uno realizzato altrove, spiegandomi: « Sono dei visi, io faccio molta attenzione agli occhi. Non sono veramente umani, sono metà elfi. E' strano, in questo momento disegno solo questo!».
Progressivamente Céline piange meno e parla della sua storia famigliare. Ha perduto uno zio materno circa cinque anni fa a causa di una grave malattia, in seguito a quest'avvenimento Céline commenta: «Molte cose sono cambiate in famiglia, mia madre parlava poco ed era molto nervosa».
Le relazioni tra i genitori e i nonni paterni sono sempre stati conflittuali e la tristezza si mescola all'agressività. Céline racconta di «essere nata per sbaglio, mia madre aveva 43 anni».
Un mese dopo l'ultimo colloquio, Céline fa la scelta di ritornare nella sua precedente scuola media per vivere vicino a sua madre.

Analisi
L'arrivo della pubertà e la possibile realizzazione dei desideri infantili creano delle profonde angosce. Quando le difese, da sole, non riescono a contenere questa quantità d'eccitazione, l'adolescente ricorre al corpo, transitoriamente, attaccandolo per evacuare e iscrivere un'angoscia non rappresentabile.
Green (1968) parla per la prima volta d'acting rifacendosi al transfert e alla situazione analitica. In seguito, il modello psichiatrico ha utilizzato questo concetto basandosi sul paradigma tensione/scarica. L'atto è designato come violento, impulsivo, immediato dove non c'è alcuna capacità di rappresentazione. Successivamente si sono sviluppate le ipotesi inerenti al deficit di mentalizzazione, alle défaillances delle capacità di contenimento, alla patologia dell'interiorità. A partire da questi aspetti teorici fondamentali la mia riflessione vuole esplorare ciò che può voler significare nella popolazione adolescente il “ricorrere all'atto” sapendo che in questa fase di vita molte istanze psichiche non sono ancora del tutto consolidate.
Charles e Céline utilizzano il loro corpo per esprimere un'impotenza piena di rabbia, che dirigono contro se stessi, in un meccanismo d'inversione della pulsione, allo scopo di ritrovare un controllo illusorio di fronte ad un'angoscia impensabile. Secondo quello che ho potuto osservare, sembra che queste espressioni corporee prendano delle forme differenti in funzione del sesso. Infatti i ragazzi adottano dei comportamenti molto più spettacolari e le ragazze, al contrario, dei comportamenti molto più “segreti” e riservati. Charles mostra agli altri la sua rabbia e la sua collera, in una messa in scena “eroica” nella quale può distruggere tutto e niente gli resiste. Invece le lesioni cutanee di Céline sembrano apparire di notte, quando si gratta lontano dagli sguardi indiscreti e poi ne parla con poche persone. Una dimensione depressiva in Céline è più evidente.
Nel ricorso all'atto, il corpo è vissuto come una valvola di sicurezza: in un momento di grande angoscia, è necessario che le tensioni interne siano evacuate per permettere all'adolescente di continuare a esistere psichicamente in modo organizzato e stabile. Il corpo diviene allora un supporto che permette di dare delle informazioni sul suo mondo interno. Gli adolescenti comunicano corporalmente quello che sono, quello che vivono in un dato periodo e il loro corpo - o più esattamente la loro apparenza - diviene un manifesto da decifrare.
Ma il corpo non è solo una valvola di sicurezza, non è soltanto utilizzato per assicurare la sopravvivenza psichica dell'adolescente in un momento di debordamento dell'eccitazione, in quanto ho notato che le azioni dirette contro il proprio corpo rivestono un senso importante nel processo di soggettivazione.
In effetti, come lo sottolinea P. Jeammet (2005) gli adolescenti vivono un difficile paradosso: da un lato sentono la necessità di differenziarsi per esistere, dall'altro hanno bisogno di “nutrirsi degli altri”. Questo significa utilizzare i meccanismi introiettivi e d'incorporazione per costituirsi come Sé. Per molti adolescenti, che risentono una forte fragilità narcisistica, questo processo è particolarmente minaccioso ed intrusivo, perché li colloca in una posizione psichica di passività e di non controllo. Quindi oscillano in un vai e vieni tra ricerca e rifiuto dell'altro, tra il troppo vicino e il troppo lontano. L'attenzione, che l'adolescente porta al corpo con dei comportamenti autolesivi, riveste un ruolo importante perché permette di evitare sia l'angoscia d'abbandono, sia quella d'intrusione. L'altro è tenuto ad una certa distanza e allo stesso tempo è presente. Questa presenza è garantita dal sovrainvestimento della percezione e dello sguardo, in un tentativo di “aggrapparsi” all'altro per non perderlo.
Chabert (2000) a tal proposito definisce le scarificazioni soprattutto nelle ragazze come « un'offerta sacrificale » che cerca di attirare lo sguardo altrui e che è generata dalla paura di perdere l'affetto del genitore. Nella popolazione osservata gli adolescenti ricercano fino a quasi esigere l'attenzione dell'altro. In un momento di perdita e di separazione che non riesce ad essere elaborato, essi utilizzano il proprio corpo ferito e leso per captare lo sguardo dell'altro, al fine di evitarsi la perdita. Una perdita troppo dolorosa per adempiersi.
Sul piano inconscio, la riattualizzazione del conflitto edipico infantile non riesce ad essere sufficientemente rimossa. L'adolescente alle prese con dei sentimenti di colpa cerca di espiarle infliggendosi delle pene. In un momento in cui gli stimoli provenienti dal mondo interno sono molto minacciosi e l'attività di simbolizzazione del preconscio è insufficiente, l'adolescente preferisce fare ricorso al visibile e al tangibile per cercare di annullare e cancellare i pensieri che non si possono controllare. Quello che dovrebbe essere vissuto come “dramma” edipico interno, viene proiettato all'esterno cercando di cancellare la colpa. Le lesioni si presentano, seppur ad un caro prezzo, come delle “produzioni psichiche”, dei tentativi di figurazione di un conflitto, attraverso la messa in scena di un atto violento contro se stessi.
Durante i colloqui, gli adolescenti mostrano spesso le loro ferite che divengono oggetto di riflessione. Cercando “la giusta presenza” , tra me e l'adolescente un processo di co-costruzione di senso può nascere, permettendo al giovane d'iscrivere un atto doloroso e aggressivo nella sua storia. Una prima forma d'elaborazione è possibile verso un processo d'interiorizzazione. Nella relazione, l'adolescente progressivamente può trovare o ritrovare un certo piacere e interesse per la vita psichica, mentre le capacità associative dell'attività di pensiero riprendono elasticità e mobilità.

Conclusioni
In questo lavoro di ricerca, si è tentato di mostrare che, spesso, il corpo può essere luogo d'espressione di una sofferenza la cui origine si trova nella storia del soggetto. L'azione non è solo il prodotto di una scarica di tensione, ma può altresì divenire un tentativo d'espressione e d'iscrizione di una sofferenza che non si può dire a parole.
L'ascolto del discorso, la creazione di uno spazio di pensiero può consentire all'adolescente di non dover ricorrere al corpo meccanicamente. Anche se con qualche esitazione iniziale, questi giovani accettano di condividere dei momenti della propria storia, rilanciando così un processo di costruzione di un Sé, che permette loro di scegliere d'adattarsi diversamente alla vita senza dover necessariamente seguire un solco già tracciato.
Anche se Winnicott (1971) ci ricorda che “gli adolescenti non chiedono di essere compresi”, tuttavia se a volte riusciamo un po' in quest'impresa: allora è importante che essi lo sentano, ma non è forse necessario che lo sappiano.

Annamaria PIETROCOLA
Université de Poitiers
Laboratoire de Recherche en Psychologie Clinique (LRPC)
97, avenue du Recteur Pineau
86022 Poitiers Cedex, FRANCE

Jean Pierre VERRIER
Service Universitaire de l'Enfant et de l'Adolescent
7, rue des Anciennes Serres
86 Saint Benoît, FRANCE



Sommario

Questa ricerca nasce a partire dall'osservazione di un incremento delle azioni contro il corpo nella popolazione adolescenziale. Contemporanemente assistiamo al ricorso all'infermeria scolastica non solo come luogo di cure, ma anche come “rifugio”, protezione, bisogno di ritrovare un “contenimento materno” di fronte alle angosce che la pubertà porta con se. In questo contesto il ricorso all'azione appare come un tentativo d'esprimere e d'iscrivere sul corpo un'angoscia impensabile e indicibile. L'incontro con la psicologa permette agli adolescenti di rinvestire l'attività di pensiero, di poter creare uno spazio di parola e di rilanciare il processo di soggettivazione.

Cette recherche naît de l'observation de l' augmentation des actions ménées contre le corps surtout dans la population adolescente et du recours aux infirmeries scolaires pas seulement comme lieux de soins mais aussi comme “refuge”, protection, besoin de retrouver une « contenance maternelle » face aux angoisse du pubertaire. A partir de l'hypothèse de l'inconscient, le recours à l'acte pourrait être une tentative d'exprimer et inscrire sur le corps une angoisse pas pensable. Les entretiens avec la psychologue permettent à l'adolescent de reinvestir l'activité de pensée, de pouvoir créer un espace de parole et de relancer le processus de subjectivation.

This research stems from a noticeable increase in the number of cases of self-harming, predominately within the teenage population who are turning to school nurses, not only as a source of care but also as a refuge from family or peer pressure. It's possible that subconsciously, resorting to the act of self harm could be an attempt to express and subject the body to an unthinkable distress. The meeting with the psychologist can to teenagers to think and to build “un speaking time” about them-self.


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Winnicott D. (1965) Processus de maturation chez l'enfant. Paris, PUF, p 13-15
Winnicott D. (1989) De la pédiatrie à la psychanalyse. Paris, Payot