La mente come rifugio dal corpo

 
Silvia La Chiusa

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E.R., 38 anni, commessa in un negozio, coniugata senza figli, mi chiede telefonicamente un colloquio inviata da una collega per una paura legata al volo in aereo. Durante la prima telefonata espone spontaneamente il motivo che la spinge a rivolgersi a una psicologa cognitivista, quale io sono, chiedendo con ferma chiarezza se io posso aiutarla. Propongo di incontrarci al fine di acquisire maggiori informazioni e quindi successivamente di concordare insieme un eventuale inizio di terapia. Al primo colloquio, dopo cinque giorni dal contatto telefonico, arriva puntale e si presenta sorridente e molto imbarazzata. L’aspetto richiama visibilmente quello di una ragazza in fase adolescenziale. Vestita con una tuta da ginnastica, scarpe da tennis, zainetto e giubbino. Il volto è contornato da una frangetta molto folta che copre totalmente la fronte spaziosa. I capelli lunghi sono raccolti in una coda un po’ sgualcita.
La faccio accomodare e chiedo subito cosa la porta nel mio studio. E.R. espone di avere una folle paura di prendere l’aereo. Ogni anno durante le vacanze si reca in luoghi esotici per raggiungere i quali è necessario effettuare un volo ed immancabilmente ogni anno, dopo aver organizzato e prenotato i biglietti in agenzia viaggi, inizia a percepire un stato di ansia che via via cresce man mano che si avvicina la data della partenza. Alla mia domanda “Come mai, nonostante la paura, continua comunque a prendere l’aereo” risponde “ devo vincere io. Non è possibile che alla mia età io non sia in grado di prendere un aereo. Ne ho passate tante e devo riuscire anche in questa”. Emergendo già dei risvolti passati chiedo subito “a cosa si riferisce quando dice che ne ha passate tante”. Risponde, costruendo un continuum di vita, che a 11 anni i suoi genitori si sono separati e suo padre è uscito di casa andando a vivere con un’altra donna e lasciando lei (figlia unica) e la madre (che non si è mai risposata) a vivere da sole nella casa coniugale. Dopo un anno circa lei e la madre, costrette dalle circostanze economiche, hanno cambiato casa andando a vivere in una più piccola dove lei ha sempre sofferto per la mancanza di spazio. Negli anni seguenti non ha più avuto rapporti con il padre indicando però di non lamentarne la mancanza in quanto la madre le ha sempre dato tutte le attenzioni affettive possibili per non farle pesare la separazione. A 15 anni viene a conoscenza della gravidanza della seconda compagna del padre. In tal caso rimprovera con rabbia evidente il fatto che suo padre non l’abbia “preparata” alla notizia. Da lì a qualche mese nasce il fratellastro verso il quale afferma di non nutrire forme di gelosie e di avere un buon rapporto vedendolo ogni tanto nei fine settimana. Nello stesso anno indica una bocciatura alle superiori ed effettua il suo primo volo aereo estivo indicando un lieve paura del tutto sostenibile più che altro legata alla novità della situazione. Da lì più o meno ogni due anni effettua un volo aereo per raggiungere località esotiche in periodi estivi lamentando sempre una lieve paura ed ansia associata al volo stesso. Dai 16 ai 30 anni riporta una vita “piuttosto serena” senza grandi cambiamenti. A 31 anni si sposa con il suo attuale marito e prendono un aereo durante il viaggio di nozze. E’ il 2001, poche settimane dopo il crollo delle Torri Gemelle a New York. Già prima della partenza lamenta un stato di ansia più elevato rispetto ai precedenti voli, ma gestito. Durante il volo definito “turbolento” nota con grande “sorpresa e sconcerto” lo spavento e l’ansia nel marito che invece viene descritto come un uomo “calmo, tranquillo, rassicurante e per nulla ansioso”. Il tutto le aumenta lo stato di agitazione. Il volo prosegue e l’ansia diminuisce. Proseguendo nel continuum di vita, E.R. racconta che dopo circa due anni di tentativi per avere un figlio scoprono di essere una coppia sterile precisando con tono giustificativo “non io, mio marito”. Decidono di ricorrere all’adozione essendo attualmente in attesa dell’arrivo del bambino. Indagando la teoria della sofferenza, la paziente lamenta una ansia accentuata negli ultimi due, tre anni legata non solo al volo in sé, ma anche all’attesa (a partire da due mesi prima della data) del volo stesso riportando di aver avuto un attacco di panico durante il suo ultimo volo avvenuto tre mesi prima della nostra telefonata. Riporta di essersi comprata un libro sulla fobia del volo e di star seguendo alcune indicazioni riportate. Tiene un diario sul quale riporta i propri pensieri ed emozioni legate all’ansia. La motivazione che la spinge ad iniziare un percorso terapeutico è legata al “far sparire questa paura” ed al “poter affrontare liberamente e senza problemi un volo” aggiungendo “non sono più una bambina”. Indica inoltre di non sentirsi totalmente compresa dal marito il quale considera la sua paura assolutamente “infantile” accettando comunque la terapia. La madre invece “non capisce, ma accetta ed approva” la sua decisione ad iniziare una terapia, se pensa che possa esserle utile. Inoltre E.R. indica di aver prenotato un volo da lì a quattro mesi e che tra un po’ inizierà ad essere in uno stato di attivazione dell’ansia per l’attesa del volo stesso.
Durante il secondo ed il terzo colloquio, recuperati alcuni dati mancanti per l’assessment iniziale, propongo alcuni ABC lavorando sulla situazione di ansia-da-volo e sulla situazione di ansia-da- attesa-del-volo.
Decidiamo di iniziare subito a lavorare sulla gestione dell’ansia attuale e quindi dell’ansia-da-attesa-del-volo. E.R. decide di iniziare “a due mesi dal volo”. Sottopongo quindi una scala di valutazione dell’ansia nella quale la paziente deve indicare da 0 a 100 il livello di ansia percepito nella situazione valutata. Emerge un’ansia pari a 30 lieve e gestibile determinata dal pensiero che “manca ancora un po’ di tempo” e quindi riesce a non pensarci più di tanto. Man mano che si avvicina la data del volo (15 giorni) aumenta il livello di ansia (50) sostenuto dal pensiero che “ormai ci siamo, non manca più tanto tempo” sino ad arrivare ad una settimana dal volo quando il livello di ansia giunge al 70 per poi sfociare in 90 durante le operazioni di imbarco sull’aereo stesso e raggiungere il livello 100 durante il volo.
E’ bene precisare (tabella 1) che al livello di ansia pari a 50, ovvero a 15 giorni dal volo, si innesca un secondo livello cognitivo rimuginante legato all’accorgersi di pensare all’evento ansiogeno determinando un aumento dell’ansia stessa. Si inserisce successivamente il pensiero legato all’incapacità di controllare il pensiero rimuginante stesso determinando non solo un aumento dell’ansia, ma anche paura che, a sua volta, genera il pensiero “sto impazzendo” determinando un aumento dei sintomi emotivi che proliferano un altro livello di pensiero “sto morendo” che determina un circolo virtuoso di aumento esponenziale dei sintomi somatici ansiosi quali palpitazione, sudorazione eccessiva, rossore in volto e tensione muscolare. Il circolo vizioso dell’ansia da attesa del volo sostenuto dal pensiero rimuginante sembra attivarsi a livelli di ansia pari a 50 identificabile dalla paziente come “punto di non ritorno” superato il quale c’è un innalzamento esponenziale dell’ansia e delle successive reazioni somatiche.




In tal caso propongo un lavoro volto ad aumentare l’autoconoscenza sia dell’aspetto cognitivo sia di quello emotivo-somatico favorendo:

la presa visione del rimuginio tramite la produzione di scritti sul diario personale annotando i pensieri che si innescano automaticamente durante le situazioni di attesa del volo man mano che i giorni passano e che si avvicina la data del volo stesso
il riconoscimento dei sintomi emotivo-somatici annotandoli su alcune schede
la presa visione dell’influenza cognitiva sugli aspetti emotivi facendo riferimento al rimuginio messo in atto e riferito alle credenze relative alla dicotomia capace-non capace; sono forte-sono debole evidenziate dai pensieri “non riesco a non pensarci-non riesco a controllarmi-sto impazzendo”


Concordato ed avviato quanto sopra esposto, nei colloqui seguenti propongo di iniziare a lavorare anche sull’ansia-da-volo. Durante una della fase espositive, la paziente riporta un episodio durante il quale ha sperimentato molta ansia e quindi propongo di soffermarci. Partendo dalla situazione indicata dalla paziente in cui è già sull’aereo circa a metà volo e si accorge che è accesa la spia luminosa che segnala di allacciarsi le cinture di sicurezza, utilizziamo la tecnica della moviola e guardiamo ogni minimo dettaglio della situazione, dei pensieri e delle reazioni emotive. La spia luminosa viene interpretata come segnala di allarme che qualcosa non sta andando per il verso giusto e determina una reazione emotiva di ansia molto elevata con livello pari a 100 e reazione somatica con palpitazioni molto forti, tensione muscolare e rossore in volto. A tal punto, come indicato in Tabella 1, essendo ansia superiore a livello 50, la paziente riporta un circolo cognitivo-emotivo vizioso in cui si accorge di essere in una situazione di alta agitazione e reazione somatica che determina un pensiero di “catastrofe imminente” che causa l’aumento esponenziale delle reazioni emotive e somatiche sino ad arrivare alla sensazione di “avere la testa vuota” sostenuta dai pensieri “non capisco più nulla” e “sto morendo”. A tal punto chiedo cosa succede quando invece il segnale di allarme si spegne. La paziente riporta un abbassamento repentino delle reazioni emotivo-somatiche riportando sensazioni di “sollievo” sostenute da pensieri rassicuranti “Mi sono sbagliata” aggiungendo dopo un pausa di silenzio “per ora. Il volo non è ancora finito!”. A tal punto, accorgendomi di un alto livello emotivo e cognitivo della paziente chiedo “E quando l’aereo atterra?” A tal punto la paziente riporta anche visivamente un’enorme sensazione di contentezza, gioia, rilassamento, sollievo sostenuto dal pensiero “ E’ come nascere un’altra volta!”.

Gli incontri successivi, lavorando su quanto fin qui esposto, consentono di effettuare alcune considerazioni insieme alla paziente al fine di ridiscutere il contratto terapeutico. Osserviamo prima di tutto quanto fatto fino a quel punto considerando la presa visione delle reazioni emotivo-somatiche sostenute dai pensieri sia durante l’attesa-del-volo sia durante il volo stesso.
Favorisco una riflessione sugli episodi riportati dalla paziente sottolineando la presenza di un pensiero rimuginante che induce esponenzialmente al picco di ansia pari a 100 sperimentato sia durante l’attesa sia durante il volo stesso, sottolineando il rapporto causa-effetto tra pensiero e reazione emotiva favorendo una sintesi tra persona-che-pensa e persona-che-sperimenta-reazioni-emotive-e-somatiche.
Ci soffermiamo successivamente sull’importanza della sensazione emotiva di rinascita sperimentata subito dopo l’atterraggio. Esplicitiamo che non avrebbe la stessa sensazione positiva se la stessa non fosse preceduta dalla condizione auto-indotta di ansia 100 sostenute da pensieri di pazzia e di morte (Tabella 1) durante la fase precedente di volo. Comprendiamo quindi il nesso causale tra ansia 100 sostenuta dal pensiero di morte e la sensazione di sollievo sostenuta dal pensiero di rinascita favorendo una sintesi tra persona-che-pensa-di-morire e persona-che-pensa-di-rinascere.
Tali considerazioni ci inducono a riflettere sulla difficoltà della paziente nel cercare di operare una sintesi tra pensiero e reazioni emotivo-somatiche indicando una rigidità messa in atto per trattenere il pensiero lontano dal corpo stesso e viceversa, come se fossero entità esistenti non facenti parte della stessa persona. Riflettiamo successivamente sul fatto che in entrambe le situazioni di ansia-da-attesa-del-volo e di ansia-da-volo è il pensiero a determinare una risposta emotiva e corporea e sul fatto che mentre nella prima sembra essere preponderante il pensiero tramite il rimuginio, nella seconda appare proprio il contrario. La paziente si definisce “tutto corpo” indicando con tale espressione la situazione nella quale percepisce di non riuscire a gestire le reazioni d’ansia sperimentate dal corpo. Ad una mia richiesta di chiarimento la paziente indica che “sull’aereo non c’è il pensiero, è tutto corpo!”. Alla mia domanda “ne è sicura?” riflette e risponde “sì, perché la testa è vuota, io sto impazzendo!”. Allora continuo “quindi se la testa è vuota vuol dire che non c’è pensiero o ……c’è n’è talmente tanto ed è talmente veloce che non si riesce a vedere ?”. In silenzio riflette qualche secondo annuendo con la testa e facendo capire di non averci mai pensato, ma che è proprio così confermando che, se è vero che il pensiero determina le reazioni emotivo-corporee e se durante il volo tali reazioni sono pari a 100 allora anche il pensiero è a 100, “infatti vado in tilt, il sistema è sovraccarico”. Annuisco rinforzando visibilmente l’importante insight ottenuto dalla paziente riguardante:
la presa di coscienza ulteriore della sintesi tra pensiero e risposta emotiva e corporea
la consapevolezza che in situazioni di ansia 100 non è vero che la testa è vuota, quindi non è più così valida la credenza “sto impazzendo”
se è vero che non sto impazzendo, allora vuol dire che sono ancora in grado di controllarmi e di gestire la situazione

Nel colloquio successivo, con grande entusiasmo e felicità, la paziente, con aspetto visibilmente più curato e femminile rispetto ai precedenti, riporta di aver trascorso una settimana tranquilla durante la quale non ha “più di tanto pensato al volo” e soprattutto riporta di essere riuscita una sera a “bloccare il pensiero rimuginante” cercando di concentrarsi sul proprio respiro e sulle sensazioni che arrivavano dal corpo. La paziente, per la prima volta da circa due anni questa settimana, scopre che, ascoltando il proprio corpo e lasciandolo andare, il livello di ansia in fase crescente per il rimuginio appena attivato, inizia a scendere e ritorna alla normalità. A tal proposito rinforzo i risultati ottenuti favorendo una riflessione sulle sensazioni corporee ascoltate, sulle capacità di ascolto somatico e di gestione del rimuginio per poi concludere con un ABC su quanto accaduto dal quale emergono emozioni di felicità, gioia e serenità sostenute dal pensiero “ce l’ho fatta”; “non è stato così difficile”.
Collegandoci ad aspetti precedentemente affrontati, propongo di continuare a lavorare sulla sintesi tra mente e corpo volgendo l’attenzione alle situazioni nelle quali la paziente ha sperimentato la situazione tutto-testa e tutto-corpo, riprendendo un gergo da lei utilizzato, come se fosse possibile isolarne uno lasciando predominare l’altro. A tal proposito, durante l’esposizione di episodi vissuti, la paziente riporta solo situazioni con carica cognitiva a discapito di quella emotiva. Le nostre considerazioni ci portano proprio ad osservare il fatto che la paziente sembra aver escluso dalla quotidianità le percezioni derivanti dal corpo sopperendo con una saturazione cognitiva che pare controllare anche eventi nei quali dovrebbe essere massimo l’aspetto corporeo quale la vita sessuale. La paziente riporta una difficoltà legata al “lasciarsi andare” durante i rapporti sessuali con il marito di cui, in precedenza, ha riportato una accertata sterilità. Alla mia domanda “quando pensa sia iniziato tutto ciò?”, la paziente risponde “sono sempre stata così, devo sempre essere pronta a tutto e sempre organizzata”, chiedo “sempre stata così?”, risponde “ sì, da quando avevo 15 anni” continuo “Cosa è successo a 15 anni?” risponde “Mah, ho scoperto che mio padre viveva con un’altra donna e che questa era incinta. L’ho scoperto proprio così. Sono rimasta spiazzata. Non mi aveva detto niente! Da lì i rapporti si sono molto raffreddati. Gli ho sempre rinfacciato di non avermi preparato alla cosa! Io non ero per niente pronta”. Durante il colloquio favorisco il ricordo dell’episodio riportato utilizzando la moviola al fine di ripercorrere ogni singolo fotogramma del ricordo stesso. Concludiamo con un ABC dal quale emerge una forte emozione di rabbia sostenuta da pensieri legati al non essere stata preparata con una conseguente rabbia crescente unita anche ad un senso di colpa sostenuto dal pensiero di essersi fidata del padre stesso, di aver affidato le proprie emozioni ad un padre superficiale. La storia di vita relativa a quanto riportato pare aver segnato molto la paziente favorendo un distaccamento dalle emozioni non ascoltate in quanto travolgenti e soffocanti scatenando una destabilizzazione emotiva. La strategia utilizzata dalla paziente sembra proprio essere stato il ricorso al pensiero che tutto programma per non “lasciare nulla al caso” al fine di riacquisire un livello accettabile di coerenza e stabilità interna riuscendo così a gestire le emozioni “che travolgono”. La razionalità sostenuta ed utilizzata anche in seguenti esperienze di vita, emerse nei seguenti colloqui, quali una bocciatura scolastica e l’impossibilità di avere figli, ha consentito di rafforzarsi sempre di più perché ritenuto efficace per affrontare la vita e le situazioni critiche a discapito sempre più evidente del corpo stesso estromesso dalla percezione. Il tutto si esprime fortemente in maniera del tutto incontrollata sull’aereo dove massimo pare essere il lasciarsi andare in quanto sospesi per aria lontani da una terra madre rassicurante.
Nei colloqui successivi procediamo perseguendo gli obiettivi indicati come segue:
allenamento relativo al blocco del rimuginio con conseguente innalzamento del livello di autostima
recupero ascolto somatico tramite sedute di rilassamento utilizzando la tecnica del respiro isometrico e della immaginazione con conseguente desensibilizzazione sistematica per associazione dell’evento cognitivo ansiogeno ad una situazione corporea piacevole
Obiettivi che, risultano raggiunti nei seguenti tre incontri al termine dei quali la paziente riporta una capacità appresa di gestione dell’ansia-da-attesa-del-volo.
Ci consideriamo pronti per entrare nella successiva fase cognitiva di invalidazione dei pensieri automatici relativi al “non ce la faccio, sto morendo, sto impazzendo” che sembrano non più essere sostenuti da evidenze empiriche in quanto la paziente ha di fatto sperimentato occasioni in cui è riuscita a gestire l’ansia da attesa del volo svalutando quindi una propria debolezza ed incapacità non più sostenute.
Procediamo successivamente con un lavoro volto alla ristrutturazione cognitiva favorendo la ricerca di alternative cognitive che possano originare stati emotivo-somatici non ansiogeni e la ricerca di situazioni emotivo-somatiche di scarso livello ansiogeno durante le quali la paziente ha sperimentato (riuscendo a controllare e gestire) gli stessi sintomi vissuti nella situazione ansiogena durante la quale invece riporta difficoltà nella gestione. Procediamo con un lavoro volto al rinforzo delle alternative stesse favorendone l’acquisita consapevolezza e capacità di gestione sempre più supportata da evidenze empiriche.
A tal punto, dopo circa quattro mesi di lavoro settimanale, arriva per la paziente il momento di sperimentare la sua ansia da volo in vivo. Durante l’esposizione riesce perfettamente a gestire le alterazioni d’ansia controllando il rimuginio e riflettendo sul concetto di sé forte, adeguato e soprattutto pronto per affrontare la prova. Il volo viene gestito con calma e serenità. La paziente, al ritorno dall’esposizione riporta di aver provato una leggera ansia durante la fase iniziale di chek-in e di attesa dell’imbarco. Appena salita sull’aereo si è subito “affidata” ad un’hostess indicando la propria fobia e chiedendo quindi la cortesia di poter essere eventualmente soccorsa in caso di attacco di panico o forte crisi di ansia. Con grande entusiasmo la paziente riporta di non aver avuto bisogno di ciò. Riporta di essere anche riuscita ad addormentarsi lasciandosi quindi pienamente andare abbassando il controllo razionale sulla situazione ansiogena. Nei colloqui successivi all’esposizione oltre al racconto minuzioso del volo stesso, riflettiamo principalmente sulla sicurezza acquisita dalla paziente nell’affrontare una situazione per la quale non si sentiva in grado di gestire all’inizio della terapia. Lavoriamo per altri tre colloqui sul rinforzo del cambiamento avvenuto focalizzando l’attenzione sulla differenza di pensiero che la paziente aveva durante i voli precedenti a quello dell’esposizione. Rinforziamo un avvenuto cambiamento a livello cognitivo. La paziente, in chiusura di percorso terapeutico, è più consapevole delle proprie debolezze e ansie. E’ più in grado di gestirle. Ha attivato risorse cognitive nuove e più funzionali rispetto alle precedenti. Si è preparata all’esposizione con impegno e motivazione. Ciò ha garantito il successo della prova stessa determinando nella paziente un rinnovato pensiero di forza e adeguatezza.
Dopo circa cinque mesi di terapia decidiamo di interrompere la stessa in quanto raggiunto l’obiettivo prefissatoci in fase di contratto terapeutico. Ci rimandiamo ad un ulteriore rinforzo in occasione del prossimo volo qualora la paziente dovesse percepire il bisogno di “rinfrescare” gli strumenti cognitivi forniti e sperimentati in tale occasione.