Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 32
1 - 2025 mese di Giugno
FORUM IFPS – BERGAMO 23–26/10/2024
LUTTO PERINATALE: INCONTRI PER GENITORI SECONDO IL MODELLO DEL GRUPPO OPERATIVO ALLA LUCE DELLA PSICOSOCIOANALISI
di Erika Parzani

Questo lavoro è una parte di un contributo più ampio a cui hanno collaborato: M. Maltese, C. Bani, F. Antonelli, C. Benedini, M. Capretti, S. Lucariello, C. Pasqualini, R. Simonetti, E. Beretta


“Potete farne un altro”, “sono cose che capitano”, “dovete essere forti”, “siete fortunati, avete già un altro figlio”, sono solo alcune delle frasi che trafiggono come frecce chi ha vissuto un’esperienza di perdita in epoca perinatale. Si tratta di parole che rimangono incise nella memoria e che, banalizzando quanto accaduto, non fanno altro che negare il valore della perdita e incrementare il dolore di chi l’ha vissuta.

 

I genitori si trovano a vivere questo dolore in solitudine, perché il contesto familiare e sociale fatica ad accogliere tale lutto, per paura di non saper cosa dire o per timore di risvegliare nei genitori ricordi insopportabili. Questo è il motivo per cui spesso il lutto perinatale resta nell’ombra.

Per i genitori il bisogno non è quello di dimenticare e andare avanti, ma quello di poter sostare nel proprio dolore, attraversandolo ed elaborandolo. Il desiderio dei genitori è quello che i propri figli non vengano dimenticati, ma possano trovare un posto dentro di sé in cui essere custoditi per sempre.

Non esiste nel vocabolario italiano una parola che racchiuda l’esperienza di un genitore che perde un figlio. Un figlio che perde un genitore è orfano, invece non vi sono parole che possano rendere significato al dolore racchiuso in tale esperienza. I genitori sentono dunque il bisogno di trovare un luogo in cui poter depositare la propria storia e come professionisti della salute mentale abbiamo il dovere di non lasciare inascoltata tale richiesta.

Insieme ai colleghi di genitoriAmente abbiamo deciso dunque di accogliere il bisogno dei genitori, affinché il loro dolore possa trovare gradualmente la possibilità di essere nominato ed elaborato.

 

Shakespeare diceva “date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore affranto e gli dice di spezzarsi”.

Poter avere un sostegno psicologico che accompagni nell’elaborazione del lutto e aiuti a favorire la condivisione del dolore della perdita è importante, perché altrimenti se rimane inespresso può̀ diventare insostenibile.

 

La scelta di approfondire in questo paper il tema del lutto perinatale nasce dal desiderio di voler dar voce a un dolore che rimane spesso inascoltato. Il tema del lutto perinatale, infatti, bussa dolorosamente alle porte del sapere psicologico e reclama di essere preso in considerazione.

Il desiderio di far luce su un lutto che resta nell’ombra è stato il punto di partenza, che ha spinto genitoriAmente ad occuparsene. GenitoriAmente è un’Associazione di Promozione Sociale fondata insieme a colleghi psicologi e psicoterapeuti, nata da un’esperienza che ci ha unito nella nostra formazione professionale e che ha sviluppato in noi la sensibilità rispetto alla nascita. Abbiamo frequentato come tirocinanti o specializzandi la Psicologia Ostetrica Ospedaliera degli Spedali Civili di Brescia, di cui la Dott.ssa Emanuela Beretta, Presidente dell’Associazione, dal 1993 ne è la responsabile. La Psicologia Ostetrica Ospedaliera si occupa dei bisogni psicologici nel periodo perinatale e collabora con varie figure professionali coinvolte nell’assistenza ostetrica sia in ospedale che sul territorio, prendendosi cura della persona in modo integrato, come unità inscindibile di bisogni fisici, psichici e relazionali. Questa esperienza è stata il filo rosso che ci ha fatto incontrare e che oggi ci tiene insieme grazie alla volontà di prenderci cura di chi si prende cura, occupandoci della salute psicologica dei genitori, affinché possano trovare ascolto e accoglienza in momenti di incontro e di scambio per i propri bisogni e per le proprie difficoltà.

Con l’idea di creare un’occasione di condivisione, in cui poter incontrare chi ha vissuto la stessa perdita e dare un nome alle emozioni che emergono nel processo di elaborazione di un’esperienza luttuosa, a Maggio 2023 è nata la prima iniziativa di genitoriAmente: gruppi di incontro per genitori che hanno perso un figlio, coordinati da psicologi, secondo il modello del gruppo operativo psico-socio-analitico. Alcuni genitori seguiti dalla Dott.ssa Emanuela Beretta presso la Psicologia Ostetrica Ospedaliera hanno fatto richiesta di poter incontrare altre persone, che hanno vissuto la stessa esperienza e questo ci ha dunque spinto a far che il loro bisogno non restasse inascoltato. GenitoriAmente ha ottenuto una convenzione con gli Spedali Civili per organizzare in sede i gruppi di incontro.

 

A seguito di una formazione con la Dott.ssa Aurelia Galletti, psicosocioanalista, ex docente COIRAG e Area G, formatrice del progetto OMS-UNICEF Baby Friendly Hospital e past president di Ariele Psicoterapia, sul coordinamento di gruppi di condivisione secondo il modello del gruppo operativo, abbiamo organizzato due gruppi: un gruppo per donne e coppie che hanno vissuto la perdita del proprio figlio per un evento inevitabile (morte endouterina, MEU) e uno per scelta dopo diagnosi prenatale (interruzione volontaria di gravidanza, IVG). La decisione di distinguere i due gruppi, nonostante abbiano in comune la perdita del figlio e del progetto generativo e genitoriale, è stata fatta a partire dall’opportunità di valorizzare vissuti differenti, quello della decisione e quello della ineluttabilità.

Non si tratta di gruppi terapeutici o di auto mutuo aiuto, ma di gruppi di incontro tra pari coordinati da uno/a psicologo/a o psicoterapeuta. L’obiettivo è quello di poter mettere in parola il proprio dolore nella condivisione con chi ha vissuto la stessa perdita e nel confronto tra storie che sono simili nella loro unicità. Il conduttore del gruppo, detto coordinatore per la sua funzione di coordinamento, di garante del setting e del compito, deve avere una funzione di contenimento, facendo sì che la condivisione possa essere benefica per i partecipanti. L’immagine che ci è stata trasmessa in formazione per rappresentare a livello simbolico la funzione contenitiva del conduttore è stata quella del “gruppo come pentola e non come scolapasta”, una funzione di contenimento e di rêverie (Bion, 1962) che ha preso forma già dalla disposizione dei partecipanti all’interno del gruppo. È stato creato un cerchio con tante sedie quanti i partecipanti e con conduttore e co-conduttore, disposti uno di fronte all’altro. Un aspetto a cui è stata posta attenzione sin dal primo incontro è stata la gestione delle assenze: la sedia vuota nel gruppo rappresentava il partecipante che era fisicamente assente, ma presente nella mente del conduttore e del gruppo.

Il gruppo è composto dai partecipanti e dalle figure professionali del conduttore, co-conduttore o osservatore e dall’osservatore in formazione, collocato all’esterno del cerchio, in un ruolo silente. Il modello teorico è quello del gruppo operativo psico-socio-analitico e gli autori di riferimento sono E. Pichon-Rivière, J. Bleger e A. Bauleo.

Il gruppo operativo è un insieme di persone con un obiettivo comune e lo raggiungono operando insieme (Pichon Rivière, 1985). I componenti del gruppo imparano a osservare, ascoltare, a porre in relazione le proprie opinioni con quelle degli altri e ognuno si relaziona attraverso il proprio schema di riferimento (detto E.C.R.O. = Esquema Conceptual de Riferimento y Operativo), che è l’insieme di esperienze, conoscenze e affetti mediante i quali si pensa e agisce. All’interno del gruppo operativo si viene poi a creare uno schema di riferimento gruppale, che consente la formazione del pensiero e implica che alla massima eterogeneità dei componenti corrisponda la massima omogeneità del compito (Bleger, 2011). Il compito si distingue in compito manifesto (l’obiettivo dichiarato per cui il gruppo si costituisce) e compito latente (l’insieme delle ansie e delle difese che quell’obiettivo suscita nel gruppo e che devono essere attraversate per il suo raggiungimento). Ogni partecipante, detto integrante perché è parte integrante del gruppo, è considerato portavoce di sé, delle proprie istanze interne, ma anche delle fantasie inconsce del gruppo (Pichon Rivière, 1985). L’obiettivo dei gruppi operativi è dunque imparare a pensare e il nemico è lo stereotipo (Bauleo, 1990).

Il conduttore è il garante del setting e favorisce il dialogo, tutelando la congruenza e coerenza in relazione al compito, aiutando i partecipanti a uscire dalle stereotipie, che ostacolano la comunicazione (Bleger, 2011). Anche se la sua formazione analitica gli consente di vedere le dinamiche in atto nel gruppo, espliciterà solo quelle necessarie al raggiungimento del compito.

Vi possono essere inoltre due tipi di osservatori, parlante e silente. Il primo ha la funzione di co-condurre il gruppo e di restituire al termine di ogni incontro le tematiche emerse. Nel nostro caso, siccome gli incontri avvenivano a una certa distanza uno dall’altro, abbiamo affidato al co-conduttore di riportare quanto emerso nell’incontro in un report scritto da consegnare ai partecipanti. Il secondo invece si colloca esterno al gruppo e anche se silente a livello verbale, mette comunque in atto una comunicazione inconscia. Possono crearsi nel gruppo diverse fantasie ed è dunque importante che la sua figura venga presentata dal conduttore nel primo incontro (Galletti & Speri, 2021). La figura dell’osservatore silente è preziosa, perché come un terzo occhio può porsi in un assetto mentale che richiede di essere, come diceva Bion, senza memoria né desiderio, focalizzandosi sull’hic et nunc (Mangini, 2003). Sostare nella capacità negativa aiuta a sviluppare le capacità osservative che consentono di cogliere sottili e profondi elementi sia del mondo esterno che del mondo interno, discussi successivamente con il conduttore e co-conduttore a scopo formativo.

I gruppi sono stati strutturati in quattro incontri della durata di un’ora e mezza ciascuno, con una tematica specifica, detta anche compito, per ogni incontro. Per quanto riguarda il gruppo delle IVG le tematiche sono la diagnosi, la scelta, il ricovero e il ritorno a casa; mentre per il gruppo delle MEU sono la diagnosi, il ricovero, il ritorno a casa e il futuro. La numerosità dei partecipanti è stata maggiore nel gruppo delle IVG e la partecipazione può essere individuale o in coppia.

Nel primo incontro viene dato spazio alla presentazione del programma e vengono esplicitate le regole del setting, ascoltando anche le aspettative di ognuno. La struttura dei gruppi si è rivelata un solido contenitore per i partecipanti, aiutandoli nel ripercorrere a tappe il viaggio della loro storia dolorosa, che è spesso scandita da tempi indefiniti e da un senso di confusione. Il gruppo è stato vissuto come un luogo sicuro, in cui poter trovare accoglimento e comprensione e in cui poter depositare la propria storia. I partecipanti hanno potuto condividere vissuti e sentimenti e sentire che le paure e le difficoltà non erano solo le proprie. Riconoscersi nei racconti degli altri li ha fatti sentire meno soli ed è emersa un’immagine che racchiude la forza del gruppo: vedere negli altri gli stessi occhi, che parlano dello stesso dolore e che mostrano vicinanza.

Per quanto concerne le tematiche degli incontri, vale la pena soffermarsi su quelle ricorrenti e su quelle che hanno dato vita a differenti vissuti nei due gruppi.

La diagnosi, in entrambi i gruppi, è stata vissuta come qualcosa che ha fatto irruzione in modo traumatico, creando una discontinuità, con la conseguente speranza che potesse trattarsi di un errore. È emerso anche il bisogno di ancorarsi alla razionalità in un momento di incertezza e alla ricerca di una spiegazione medica per quanto accaduto. Una notizia traumatica e sentimenti diversi: dallo shock alla tristezza, dalla paura alla rabbia, dalla sensazione di smarrimento a un senso di solitudine e di vuoto, con una domanda comune: perché a me? Le donne e le famiglie che vivono questa esperienza segnalano come il contesto sociale fatichi a riconoscere nella perdita perinatale un vero e proprio lutto. La sensazione è quella di non essere compresi nel proprio dolore, che viene sminuito e banalizzato. Gli altri vengono spesso percepiti come giudicanti, sembrano impreparati ad accogliere la morte laddove dovrebbe esserci la vita e il lutto perinatale resta dunque nell’ombra; infatti poche persone sono disposte ad accogliere tale dolore, che può diventare difficile da condividere con qualcuno che non abbia vissuto la stessa perdita (Muscialini, 2010). Questo è il motivo che li porta a partecipare ai gruppi: condividere il proprio dolore con chi ha vissuto una storia simile e può sintonizzarsi emotivamente. Viene dato spazio al racconto dei rituali, che hanno aiutato i partecipanti nel processo di elaborazione del lutto: vedere il corpo dei propri figli, scegliere di dar loro un nome, creare una scatola con fotografie, sono stati gesti che hanno facilitato il formarsi nella mente dei genitori di immagini e ricordi e che li hanno aiutati nel lenire il dolore della perdita (Quatraro & Grussu, 2018).

Per quanto riguarda invece il vissuto della coppia la percezione è stata quella di essere insieme nella solitudine. I padri si sono sentiti impotenti perché il corpo direttamente coinvolto è stato quello femminile, ma sono stati percepiti come supportivi e protettivi dalle madri e si sono sentiti poco considerati dall’esterno. L’allontanamento temuto nella coppia si è trasformato spesso in avvicinamento.

 

Una tematica che si differenzia nei due gruppi è quella della scelta, che ha caratterizzato i gruppi delle IVG. Una scelta difficile che viene definita di coscienza, proprio perché pensata e sofferta. A volte la percezione è stata quella di una scelta senza alternative, altre una forma di protezione del proprio futuro e di quello dei/delle figli/e viventi, altre una scelta, soggettiva, collegata al non esporre il/la nascituro/a ai rischi derivanti dalla severità della prognosi fetale. L’immagine che è emersa è quella della guerra, che descrive la difficoltà della scelta fatta: si sono sentiti in guerra anche con loro stessi.

 

Nei primi incontri è emersa l’immagine dell’oscurità, un momento traumatico circondato da buio e tristezza, un dolore che lascia il segno e che crea un cambiamento dentro di sé, anche nella direzione di riconsiderare le priorità e cambiare la propria visione di alcuni aspetti della vita. Viene segnalata l’importanza di un supporto psicologico, che accompagni nell’elaborazione del lutto e aiuti a fare luce in un momento di oscurità, rendendo tale dolore pensabile e tollerabile.

Dal clima di oscurità iniziale, gli incontri hanno consentito una graduale comparsa di spiragli di luce. Il tema dell’ultimo incontro, il futuro, è stato complesso da affrontare, perché è emersa la fatica, la sfiducia e la paura di riprovarci e di avere un’altra gravidanza con complicazioni. È difficile proiettarsi nel futuro, che mette a confronto con l’incertezza e porta con sé timori e preoccupazioni. Parlare di questo tema fa però anche emergere speranza e fiducia nella possibilità di stare meglio e vivere qualcosa di bello, con l’idea, come ha detto un partecipante, che non possa piovere per sempre e si possa pensare a un futuro diverso dal passato.

In conclusione, perdere il proprio figlio ha portato con oltre a una perdita fisica, anche una perdita simbolica, di un sogno, di un progetto, di aspettative e di desideri. In questi gruppi si è vista la transizione da tappe iniziali caratterizzate da oscurità, atemporalità, immagini crude e dalla sensazione di sentirsi anestetizzati e pietrificati di fronte a tale esperienza, alla possibilità che un’angoscia senza nome, grazie al contenimento del gruppo e dei conduttori, possa diventare nominabile. L’anestesia iniziale ha potuto così lasciar spazio al ricominciare a sentire.

Attraverso il gruppo si è sviluppato un canale affettivo di risonanza, partecipazione e condivisione, che la conduzione psicologica ha contenuto ed orientato all’autoregolazione e regolazione reciproca, in un processo volto alla condivisione dei significati e soprattutto alla sintonizzazione affettiva. Ogni partecipante ha testimoniato il bisogno di esprimersi soggettivamente, alla ricerca di un senso personale dell’esperienza vissuta, che ha trovato occasione di precisarsi dentro di sé, nel momento del racconto agli altri.

Una madre, alla fine di un gruppo, ci ha salutati con la frase “da queste profonde ferite usciranno farfalle libere”, dando voce al desiderio di riprendere il proprio progetto di vita interrotto.

L’esito della partecipazione è stato dunque quello di una nuova rappresentazione soggettiva e condivisa dell’esperienza del lutto perinatale, che possiamo definire con le parole dei partecipanti: “ora si torna a vivere, qui c’è stato lo spazio per ricostruire qualcosa che dia davvero il senso del proseguire”.

 

BIBLIOGRAFIA

Bauleo, A. J., & De Brasi, M. (1990). Clinica gruppale. Clinica istituzionale. Padova: Il Poligrafo.

Bion, W. R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Trad.it. Armando, Roma, 1972.

Bleger, J. (2011). Psicoigiene e psicologia istituzionale. Molfetta: Edizioni La Meridiana.

Galletti, A., & Speri, L. (2021). Con la lente della mente. Alle radici dell'osservazione psicoanalitica. Molfetta: Edizioni La Meridiana.

Mangini, E. (2003). Lezioni sul pensiero post-freudiano. Maestri, idee, suggestioni e fermenti della psicoanalisi del Novecento. Milano: LED Edizioni Universitarie.

Muscialini, N. (2010). Maternità difficili. Psicopatologia e gravidanza: dalla teoria alla pratica clinica. Milano: Franco Angeli.

Pichon Rivière, E. (1985). Il processo gruppale. Loreto: Editore Lauretana.

Quatraro, R.M., & Grussu, P. (2018). Psicologia clinica perinatale. Dalla teoria alla pratica. Trento: Edizioni Centro Studi Erickson.

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