Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 19
2 - 2018 mese di Dicembre
IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
OMOGENITORIALITÀ: TRA INCONGRUENZE LOGICHE E RICERCA CLINICA
di Mauro Fornaro

Si sa: il tema della omogenitorialità, per via della sua forte valenza etica ed antropologica, ha quanto mai diviso la comunità degli stessi psicoterapeuti e psicoanalisti, specie in ordine alla salute della prole cresciuta entro questo tipo di famiglie. Difficile in ogni caso respingere le conclusioni formulate a seguito della meta-analisi di una prima tornata di ricerche, nel 2005, a cura dell’American Psychological Association (APA). Accolte nella sostanza da gran parte delle associazioni di psicologi, psicoterapeuti, pediatri e psichiatri nei paesi Occidentali, queste conclusioni suonano: «Non v’è evidenza che suggerisca che donne lesbiche o uomini gay siano inadatti ad essere genitori (unfit to be parents) o che lo sviluppo psico-sociale dei figli di donne lesbiche e di uomini gay sia compromesso (is compromised) rispetto a quello della prole (offspring) di genitori eterosessuali».

Correttamente occorre intendere che coppie omosessuali possonorisultare genitori adeguati. Come dire che si trovano comunque delle coppie che riescono bene, anzi a volte anche meglio della media delle coppie eterogenitoriali (per via delle grandi cure prestate a una prole desiderata superando notevoli difficoltà). Tuttavia l’affermazione secondo cui non v’è differenza statisticamente rilevante tra l’insieme della prole omogenitoriale e l’insieme di quella eterogenitorialenon è logicamente derivabile dalle conclusioni dell’APA testé riportate. Inoltre essa è discutibile: molte le obiezione che sono state indirizzate a queste ricerche di carattere empirico-statistico quanto alla loro correttezza metodologica e all’effettiva estendibilità dei risultati ai grandi numeri di ricerche fatte per lo più su gruppi di convenienza. Il che vale sia che esse abbiano portato risultati favorevoli alla salute della prole (e sono la maggior parte), sia contrari. Non è qui luogo dettagliare queste criticità metodologiche, ma colpisce il fatto che le ricerche che portano risultati favorevoli provengano per lo più da ricercatori dichiaratamente omosessuali o vicini ai movimenti LGBT, mentre quelle che portano risultati sfavorevoli provengono da ricercatori finanziati da, o appartenenti a istituzioni confessionali. In ogni caso, a dire come a parità di altre condizioni le coppie e dunque le famiglie omogenitoriali presentino criticità ignote a coppie e famiglie eterogenitoriali, nelle prime sono rilevabili difficoltà ad esse intrinseche e specifiche: queste difficoltà si danno al netto dei fenomeni di omofobia sociale o interiorizzata (che certo dal canto loro comportano influenze negative sul benessere della prole e della coppia stessa). Le specificherò più sotto, tanto esse possono risultare di interesse clinico. 

Successive tornate di ricerche empiriche hanno focalizzato comein generale funziona questo tipo di famiglie. Due rilevanti volumi riassuntivi apparsi pure in traduzione italiana (Golombok, 2016 e Goldberg, 2015) sono giunti alla conclusione seguente: predittivo di un buon sviluppo della prole non è tanto la strutturadella famiglia (etero piuttosto che omogenitoriale, o anche ricomposta, o anche formata da coppia eterosessuale con figli da fecondazione eterologa, ecc.), quanto il suo funzionamento. Il buon funzionamento si esprime in termini di soddisfacenti relazioni tra i membri della coppia e di questa con la prole, inoltre in assenza di rilevanti motivi di stress. Ma pure da questa conclusione occorre evitare deduzioni errate: non si può inferirne che il tipo di struttura sia indifferente in ordine al buon funzionamento, come affrettatamente affermato da vari sostenitori della omogenitorialità. Occorre infatti appurare se certe strutture non facilitino il conseguimento di un grado soddisfacente di funzionamento, mentre altre, al contrario, non lo rendano più difficile o precario rispetto alle prime. Come dire che se una famiglia omogenitoriale raggiunge un livello di funzionamento equiparabile a una famiglia etero-, lo ottiene con maggiori difficoltà, a parità di altre condizioni. E’ quanto vorrei evidenziare, mostrando finalmente le specifiche difficoltà relative al funzionamento delle famiglie omogenitoriali. Sono situazioni – si noti – prodromiche di disagi psichici, suscettibili di una richiesta di aiuto allo psicologo. Ed è cosa che riconoscono a volte gli stessi fautori dell’omogenitorialità. 

La principale di queste difficoltà intrinseche, ovvero “strutturali”, è la dissociazione tra genitorialità biologica e genitorialità sociale, specie nel caso di coppie lesbiche o gay che abbiano pianificato una procreazione “assistita” a carico di un membro della coppia (ed è caso diverso da quello delle famiglie omogenitoriali costituitesi dopoche uno o ambo i membri hanno avuto prole da precedente relazione eterosessuale: qui l’altro genitore biologico è quasi sempre noto). In effetti aleggia la presenza di un terzo assente, ovvero di un birth other, come altri preferisce dire, con cui comunque coppia e prole hanno da fare i conti. Questa presenza è richiamata in certe fattezze fisiche e temperamentali della prole, ma nel caso della “donazione” anonima di sperma o di ovulo (che è di gran lunga il più frequente) gli interrogativi sono già presenti al momento del concepimento. Questo soggetto esterno alla coppia è vissuto in chiave tanto più ansiogena, se non persecutoria, quanto più il terzo assente è sentito come estraneo al progetto di coppia, come estraneo alla unità e coesione di coppia, come un fantasma che prima o poi può rivendicare il figlio/a. (Il che sembra accadere, secondo le ricerche empiriche fin qui condotte, di più nelle coppie lesbiche, che sono di gran lunga la maggioranza; mentre nelle coppie gay più frequente è la gratitudine verso la madre “portatrice”, mentre gli interrogativi restano aperti verso la madre genetica, cioè la donatrice di ovulo

Il medesimo tema evidentemente non può non toccare pure la prole: specie a partire dall’adolescenza, il giovane e la giovane diventano critici verso le stesse narrazioni genitoriali. L’interrogativo il più delle volte irrisolto “ma di chi io sono figlio nella mia carne? nelle mie fattezze fisiche? nelle eventuali patologie ereditabili? ecc”quanto meno è fonte di inquietudine esistenziale in molti di costoro, se non, di più, fattore suscettibile di contribuire in età adulta all’insorgere di patologie depressive (“non so chi sono”, “sono frutto di un anonimo seme comprato da mia madre”, “l’altro mi ha abbandonato”, ecc.). Sull’entità di questo potenziale sviluppo patologico non abbiano ancora una sufficiente messe di dati e di ricerche convincenti.

Problemi analoghi a proposito del genitore biologico, certo, hanno rispettivamente le coppie eterosessuali con figli adottati alla nascita e, di più, questi figli stessi, ma con due differenze: queste situazioni difficili non sono volute dalla coppia genitoriale, la quale anzi s’è prestata generosamente a crescere un bimbo/a abbandonato/a. Soprattutto non v’è la difficoltà strutturale data dall’assenza di un genitore d’altro sesso, con le conseguenti problematiche relative all’acquisizione dell’identità di genere. D'altra parte, la questione se l’uno dei due genitori, o anche qualche parente di un membro della coppia, possa surrogare in maniera adeguata il genitore del sesso mancante, implica a sua volta grosse questioni sulle differenze di genere, sulle modalità di acquisizione dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale. Qui basti osservare come, a parità di altre condizioni, la presenza di ambo i generi nella coppia genitoriale renda meno complicata l’acquisizione di identità di genere e orientamento sessuale da parte dei figli/e. A riguardo di questa acquisizione la coppia eterosessuale ricorsa a fecondazione eterologa, anche se condivide con quella omosessuale la questione del terzo assente, risulta facilitata e facilitante.

Ultima difficoltà strutturale, attestata da varie ricerche empiriche, è data nelle coppie lesbiche dal ricorrere di frequenti, accentuati fenomeni di gelosia della madre sociale nei confronti della madre biologica, anche per via del maggior attaccamento del bebé alla madre biologica. Ovviamente nel caso della coppia gay il minore impegno maschile nella procreazione limita gli ambivalenti fenomeni di identificazione del genitore sociale col genitore biologico del medesimo sesso. A maggior ragione entro la coppia eterosessuale, la differenza di genere e la diversa funzione nella procreazione e nelle prime cure (allattamento al seno) rendono meno probabili fenomeni di gelosia tra i coniugi a riguardo del piccolo. 

 

Dove voglio arrivare con questa sommaria rassegna di ricerche empiriche e con questo elenco di difficoltà strutturali nella famiglia omogenitoriale? Difficoltà di rilevanza clinica sono, dicevo, già riconosciute dagli stessi autori favorevoli all’omogenitorialità; inoltre le numerose ricerche empiriche sui vari aspetti della vita di queste famiglie e dei loro singoli membri non hanno fornito risultati indiscutibili o pacificamente accolti, come pure ho ricordato sopra. Ebbene, un contributo alla comprensione dell’effettivo benessere psicologico e delle difficoltà endogene che queste famiglie incontrano, può esser dato proprio dalla nostra attività clinico-terapeutica; il che vale tanto più quanto più ci si ponga in una dimensione anche di ricerca clinica. Certo la tendenza preminente dei soggetti provenienti da famiglie omogenitoriali, laddove la domanda espressa al terapeuta riguardi proprio le menzionate specifiche difficoltà, è quella di rivolgersi a terapeuti “amici” delle, o selezionati dalle comunità LGBT. Tuttavia membri di famiglie omogenitoriali stanno arrivando anche a colleghi non agganciati a gruppi LGBT. Nel qual caso il più delle volte i disagi correlati alla struttura omogenitoriale delle famiglia si rivelano dietro a una domanda di cura per altro motivo. 

In ogni caso, il terapeuta che volesse dare un contributo su questi temi, dovrebbe annotare dinamiche e criticità specificamente correlabili alla struttura omogenitoriale della famiglia, per farne materia di riflessione in uno spirito di ricerca imparzialerispetto a valutazioni ideologiche e alle stesse preconcezioni di scuola. Occorre appurare quanto i disturbi mentali siano causalmente conseguenti alla struttura famigliare. L’attenzione dovrebbe andare segnatamente, quanto ai membri della coppia, alle relazioni interne alla coppia, alle relazioni coi figli (come genitore sociale piuttosto che biologico, o viceversa), alla relazione soprattutto con la figura del terzo assente e relative fantasmatiche; quanto ai figli/e, segnatamente alla formazione dell’identità personale, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, al rapporto differenziato col genitore biologico e quello sociale, e soprattutto alla relazione con la figura dell'altro genitore biologico, sconosciuto o meno che sia.

Certo, non mi illudo che l’imparzialità sia facilmente conseguibile, tanto meno da clinici indicati da organizzazioni LGBT, alla luce anche del fatto che gli stessi ricercatori empirico-statistici, in genere sensibili alle questioni metodologiche, non hanno impiantato nessuna équipe costituita appositamente da membri orientati rispettivamente in senso favorevole e in senso critico verso la omogenitorialità (quando ben noti sono i bias derivanti dai pre-giudizi del ricercatore). Ma proprio per questo, confronti tra clinici di diverso orientamento in fatto di omogenitorialità, sono più che mai auspicabili, ed è inopportuno che la ricerca in tema sia prerogativa di colleghi indicati da associazioni LGBT.

Va da sé che ricerche e risultati offerti dalla clinica analitica e altre affini non hanno rilevanza sul piano statistico dei grandi numeri. Ma il pregio della ricerca in clinica, approfondendo le dinamiche intrapsichiche dei singoli, è quello di scavare molto più in profondità di quanto non lo consentano le ricerche attraverso test e questionari, per altro con ampio uso di self report (nei quali i membri di queste famiglie per comprensibili ragioni tendono a dare un’immagine migliore di sé e della loro famiglia). In tal modo si possono elaborare quadri di assetti e di dinamiche psichiche tipici, i quali possono poi fungere da schemi idealtipici, cioè casi esemplari utili ad interpretare e a confrontare analoghe situazioni di interesse clinico. Un po’ come è accaduto per certi casi clinici divenuti “classici”, ai quali fa sovente riferimento la letteratura psicoanalitica e psicoterapeutica.

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